mercoledì 28 maggio 2014

Il mio biglietto da visita

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Non ho mai pensato che potessero sparire, nemmeno oggi ai tempi di facebook o dei tablet e personalmente li trovo insostituibili. Sto parlando dei biglietti da visita, quei cartoncini che parlano di noi e del nostro mestiere. Ne conservo tanti, li sfoglio, li vado a rivedere e, come la collezione delle figurine dei calciatori, mi ricordano volti, persone,  situazioni, incontri e scontri. Fanno parte della vita di ogni professionista che, deve ben studiare colori, font, testo cercando, in poche righe, di colpire l'attenzione e fare arrivare un messaggio chiaro: questa è la mia identità, il mio stile e per te posso fare questo.
 
Ricordo ogni mio biglietto da visita, le modifiche che hanno subìto nel tempo sulla base di esperienze, di cambiamenti di luoghi o situazioni. Tutto, dal carattere, ai colori rispecchiava e identificava il mio stesso stato d'animo in relazione alle nuove idee da affrontare o alle vecchie da consolidare. No, non penso proprio possano sparire (leggi approfondimento qui) perchè rappresentano un mondo: quello in cui viviamo realmente e quei contatti veri che sono stati sanciti, come di solito accade, da una stretta di mano. 
Non è un caso che, recentemente, una cara amica mi abbia regalato un bellissimo porta biglietti da visita realizzato artigianalmente da suo padre. Un regalo molto gradito pronto a raccogliere nuove sfide, nuovi accordi e, spero, nuove persone da conoscere.

lunedì 26 maggio 2014

Pezzi da novanta


Le origini di questo modo di dire, per la maggior parte siciliane, sono diverse. Michele Pantaleone, nel suo importante saggio Mafia e politica (Einaudi, Torino 1962), spiega che il "pezzo da novanta" era propriamente il più grosso petardo di ferro, alto 26 cm, che veniva sparato nelle feste a conclusione dei giochi di fuochi e degli spari dei mortaretti.
Un altro significato ci arriva dal gergo militare: nella seconda guerra mondiale, i cannoni anticarro erano detti 90/53, cioè con calibro di 90 mm e bocca da fuoco lunga 53 volte il calibro. Un'altra origine più colorita è legata al "teatro dei pupi" dove il "pezzo da novanta" era il personaggio principale dell'opera che per l'appunto era alto 90 cm anziché  75 cm come degli altri.
Viviamo in un mondo in cui molti sono i pezzi da novanta: sono tutte quelle persone che fanno pesare il loro status e, in qualsiasi ambiente, non esitano a sbandierare il loro potere.Molte poi sono le persone che vorrebbero essere dei pezzi da novanta e che pur mancando di capacità, qualità o potere reale si spacciano per grandi personaggi.

Se ritorniamo alla prima possibile origine del"pezzo da novanta", onestamente, dobbiamo ricordare che un grosso petardo fa solo un gran botto e che quanto al burattino, anche se più grande degli altri è sempre manovrato da sottili fili invisibili, quelli del burattinaio. Infine, per quanto riguarda il cannone è l'unico strumento che potrei considerare efficace se non fosse che è diventato obsoleto rispetto alle moderne e più sofisticate armi in uso.

È curioso vedere come un modo di dire che dovrebbe sottolineare l'importanza di qualcuno nasca da cose futili o che avevano un senso tempo fa come nel caso del cannone. Forse l'essere importanti è qualcosa di interiore certo è che i veri "pezzi da novanta", quelli che lasciano un segno nel mondo si guardano bene dall'apparire, fare botti o esplosioni, ma lavorano nel silenzio tutti i giorni.

venerdì 23 maggio 2014

L'angolo di Tiziano


"Gandhi diceva: Impara come se dovessi vivere per sempre, ma vivi come se dovessi morire domani. Da questa grande pillola di saggezza prende spunto Tiziano per il suo contributo sui più grandi libri in tema di..."

Continua a leggere qui, buona lettura

mercoledì 21 maggio 2014

Un posto di lavoro: pensatore


Luciano Floridi
Ho avuto modo, diverse volte in questo blog e in altre situazioni, di parlare della "fuga dei cervelli". Il fenomeno è noto a tutti: sono moltissimi gli italiani all’estero che ora guidano gruppi di ricerca in università prestigiose, che dirigono aziende importanti, che si distinguono per opere che lasciano il segno e vengono riconosciute in tutto il mondo. Solo allora ci si ricorda che sono italiani, se ne parla con orgoglio, se diventano famosi si intervistano i vicini, i vecchi compagni di scuola, la maestra se è ancora viva...
Ma nessuno, in Italia, mentre sgomitavano per fare capire che avevano delle idee avrebbe investito su di loro: sempre un po' troppo sognatori o troppo pratici, un po' troppo individualisti o troppo illuminati, nessuno in questo Paese di case arroccate sulle colline o perse nelle pianure li ha saputi notare. E sono tanti e sempre in aumento.
Stavolta il caso di Luciano Floridi (qui, qui e qui gli approfondimenti) tocca ancora più direttamente le corde del mio cuore perchè Luciano non è un ingegnere o un genio dell'informatica, nè un brillante scienziato, ma è un eminente filosofo della logica, uno insomma pagato “per pensare”. E come succede nelle favole questo pensatore fa carriera a tal punto che per fare il suo lavoro gli viene "inventato " un posto, un posto per "pensare".

Abbiamo bisogno di riparametrare tutto e capire quello che realmente vogliamo. Fino ad allora dei nostri fasti rimarrà solo un vago ricordo fatto solo per alimentare i soliti sbruffoni: è l’immagine di un povero Paese che presto importerà tutto pagando molto caro anche quello che si è lasciato scappare via.

giovedì 15 maggio 2014

La terra promessa delle start up

Che dire, i numeri qui parlano da soli e anche i risultati. Esiste veramente un luogo dove "la partita dell'innovazione si gioca a tutto campo. Non a caso, puntando su formazione, hi-tech, venture capital e tante idee da far germogliare, il Paese è al secondo posto dopo gli Stati Uniti per numero di start up. Un ecosistema unico dove si concentrano, in base alle ultime rilevazioni del centro di ricerca Ivc, oltre 11mila tra start up, incubatori, fondi di private equity e venture capital (anche esteri), business angel". Ma dov'è questa terra promessa? In Israele e a quanto pare non è solo un gioco di parole.
Questo è quanto emerge da questo articolo de Il sole 24ore.
"I fondi pubblici mettono a disposizione circa 375 milioni di dollari l'anno, in grado da soli di dar vita a centinaia di start up. Lo Stato individua pure le aree strategiche (dal biotech alle nanotecnologie,  dalla sicurezza all'energia e alle scienze della vita) e i programmi approvati ricevono per la ricerca e sviluppo una quota di finanziamenti tra il 20 e il 50%. I venture capitalist, dal canto loro, arrivano a supportare tra il 30 e il 50% del capitale.  In Israele scommettere sulle nuove idee imprenditoriali non è inusuale". Non esieterà forse il paradiso in terra, ma almeno qui c'è la speranza di una terra promessa per tutti quelli che vi vogliono lavorare.

lunedì 12 maggio 2014

La pazienza di Giobbe


Tutti, più o meno, conosciamo la storia biblica di Giobbe, uomo giusto e retto che, privato di tutto e tutti, subisce la prova più terribile, quella della fede, prova che riesce a superare grazie alla sua proverbiale pazienza. In realtà credo che la pazienza di Giobbe sia ascrivibile più ad una fiducia superiore alla media anche nelle disgrazie più totali.
Oggi siamo tutti costantemente messi alla prova nel lavoro, nella vita sociale e familiare. La velocità di domanda e risposta che ci viene costantemente richiesta è talmente alta che a volte non riusciamo a sostenerne l'andamento, non riusciamo a raggiungere risultati e diventiamo vittime di stress e ansia.
Nulla di diverso dal buon Giobbe. Ma come vincere tutto questo? La formula che il testo sacro ci propone è non venire meno a ciò in cui crediamo, a non lasciarci sopraffare dalla tristezza e dallo sconforto, a non fidarci troppo di chi ci propone inutili consigli, ma confidare sulle proprie energie continuando ad alimentarle di propositi. Certo posso sembrare utopistico, ma alla fine è la speranza a cui ci aggrappiamo che fa la differenza e fissa quel punto oltre il quale le cose non possono andare oltre. E’ un testo interessante che in momenti di sconforto può aiutarci a pensare e ri-credere in noi stessi. Per il resto, come sempre, servono determinazione, continuità, spirito di dedizione e perchè no? anche un po' di fortuna che, creata, voluta o caduta dal cielo, non guasta mai.

venerdì 9 maggio 2014

L’angolo di Tiziano


Oggi Tiziano ci parla di matrimonio e come leggerete il panorama letterario non racconta molte storie positive a questo proposito. Qualcuno degli amici del blog magari ci potrebbe suggerire qualche lettura o film in controtendenza....

mercoledì 7 maggio 2014

Carriera: orizzontale o verticale?


Il cambiamento del mercato del lavoro influisce anche sul modo di fare carriera, non c'è dubbio. Intanto i posti di lavoro sono sempre più a rischio e tra fusioni acquisizioni e chiusure, la precarietà è sempre più sentita dando una percezione di futuro instabile e incerto.
 
I passaggi di carriera fino a qualche anno fa erano ancora "verticali"; il miglioramento di una posizione era correlato a un rapporto tra remunerazione e responsabilità e spesso anche ad un numero crescente di collaboratori da gestire. Oggi, invece, sono sempre più le persone che cambiano lavoro nell’ottica di consolidare la loro posizione: non si pensa più a salire insomma, ma a mantenere ciò che si ha cercando di fare crescere le competenze nel proprio campo che permettano un maggiore adattamento ai cambiamenti e alle situazioni.

Nelle sessioni di counseling aziendali percepisco sempre più questa tendenza che, sicuramente, è espressione dello spirito di sopravvivenza: l'unico modo per rendersi protagonisti e necessari è incrementare una sorta di capacità multitasking. Crescere è apprendere continuamente e preferisco pensare che sia per amore e non per forza. Certo è che in questa spasmodica ricerca della salvezza ci si aggrappa all'unica vera àncora: conoscere se stessi e sapere fino a che punto si è resilienti.

lunedì 5 maggio 2014

Di rumore si muore


Da sempre sostengo che il silenzio sia un grande dono sempre più raro e, purtroppo, per questo motivo siamo sempre più incapaci di gustarlo fino in fondo.
Nonostante le tante evidenze scientifiche che indicano che siamo sempre più a rischio, non riusciamo a coltivarlo, a preservarlo: il rumore continuo non solo genera stress, ma è causa di ritardi cognitivi, di apprendimento oltre che di scarsa qualità della vita. Siamo destinati ad essere sempre più tesi, arrabbiati e stanchi.
Speriamo di riuscire ad invertire questa tendenza; nelle mie sessioni di counseling parlo spesso del valore del silenzio e spingo i miei clienti a ricercarlo come valore salutare importante per il proprio benessere oltre che per i propri equilibri.
Di rumore si muore, lentamente: l'unico farmaco che ci può aiutare è quel silenzio dentro e fuori di noi che non solo ci aiuti a capire chi siamo, ma che preservi anche la nostra identità più profonda.