mercoledì 28 gennaio 2015

Multitasking: un danno irreversibile


Ci richiedono sempre più prestazioni e noi, di conseguenza, stimoliamo costantemente il nostro cervello e il nostro corpo a rispondere velocemente e in modo adeguato. Ci sembra bello poter fare tante cose contemporaneamente, e, nel nostro piccolo, ci appaga essere iper efficienti. Purtroppo gli effetti collaterali non solo sono svariati, ma anche irreversibili.

Se ne parla in questo articolo di Corriere Neuroscienze nel quale il neuroscienziato Daniel J. Levitin, direttore del Laboratory for Music, Cognition and Expertise alla McGill University e autore del libro “The Organized Mind: Thinking Straight in the Age of Information Overload.” (La mente organizzata: restare lucidi nell’era dell’eccesso di informazione ndr) sostiene che « Si è visto che il multitasking aumenta la produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e di adrenalina, l’ormone del “lotta o scappa”, che può stimolare eccessivamente il cervello e causare annebbiamento o pensieri disturbati — racconta Levitin —. Il multitasking crea un circolo vizioso di dipendenza dalla dopamina, premiando effettivamente il cervello a perdere la concentrazione e a cercare stimoli esterni. A peggiorare le cose, la corteccia prefrontale ha una “distorsione da gadget”, il che significa che la sua attenzione può essere facilmente distratta da qualcosa di nuovo - gli oggetti luccicanti proverbiali che usiamo per invogliare i bambini, cuccioli e gattini".

A quanto pare essere così performanti non è un gran bene e allora mi tornano alla mente gli insegnamenti dei monaci benedettini che si impegnano sempre ad affrontare una cosa alla volta, mettendoci attenzione per evitare di doverci ritornare per correggere le situazioni. Mi pare un passaggio importante anche sotto il profilo sociale: basta supereroi solo apparentemente capaci di fare tutto, ma persone normali abili nel dare risposte efficaci nel momento in cui servono e soprattutto presenti nel momenti di darle non solo a parole, ma anche coi fatti.

sabato 24 gennaio 2015

Un disturbo, un libro di Tiziano Cornegliani


Alcolismo

Di là dal fiume e tra gli alberi,
di Ernest Hemingway

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mercoledì 21 gennaio 2015

Dal grande al piccolo: e non sappiamo più guardare


L’articolo che vi propongo oggi di leggere è tratto da Corriere Club Della Lettura e ci porta a riflettere su un semplice fatto: sappiamo ancora osservare? A quanto pare no e le nuove tecnologie ne sono complici.
Sebbene gli schermi di cinema e televisione siano sempre più grandi è sotto gli occhi di tutti che smartphone e i tablet, con le dimensione ridotte dei loro schermi, ci portano a perdere un terzo della nostra capacità di osservazione di 140° che la natura ci ha donato. Se apparentemente questo non sembra essere un problema lo diventa se analizzato dal punto di vista antropologico: guardare sempre più in piccolo ci chiude in noi stessi e ci impedisce quel fattore importante che è la condivisione della visione. Avete mai provato a guardare un video sul vostro cellulare in gruppo? La maggior parte dei dettagli viene completamente persa e rimane solo una sintesi del tutto: l’azione. Molti ora diranno che questo è un bene: focalizzarsi sul succo del contenuto risparmia tempo. Peccato che la capacità di osservazione a spettro più ampio permetta di osservare e quindi di considerare fatti e situazioni in contesti più ampi, più completi. E’ proprio grazie ai dettagli che riusciamo ad ottenere maggiori informazioni per risolvere qualsisi tipo di problema.

Addestrarci ad osservare nel piccolo ci abitua, come evidenziato nell’articolo, a focalizzare lo sguardo solo su pochi aspetti che, pur fondamentali, rendono la capacità di elaborazione parziale. Aprire lo sguardo, quindi, significa aprire la mente, avere idee più elaborate, sapere vedere oltre noi stessi e comunicare quindi in modo più appropriato ed efficace. Impariamo di nuovo a osservare a 140° e forse vedremo anche le verità che ci si prospettano con nuovi occhi e, grazie a questo, saremo più liberi.

lunedì 19 gennaio 2015

Oggi? Il giorno più triste dell’anno


Quando ho ricevuto questa notizia ho pensato fosse una bufala e, invece, a quanto pare, è tutto vero: qualcuno ci ha dedicato del tempo e delle energie.
Cliff Arnall, uno psicologo dell'Università di Cardiff, si è impegnato per scoprire qual è il giorno più triste dell'anno attraverso una complicata equazione ed è giunto, nel 2000, a questa conclusione: oggi 19 gennaio 2015 è il Blue Monday, il giorno in cui dovremmo sentirci più tristi in tutto l’anno.
A quanto pare non è il solo a preoccuparsi perché in Inghilterra si stanno prodigando in consigli e scaramantici riti soprattutto per evitare assenteismo al lavoro e sradicare qualche lite tra colleghi.
Per altri si tratta di una trovata per incentivare i viaggi dopo la pausa natalizia.
Che dire? Personalmente mi sono alzato di buon umore, ho avuto un paio di buone notizie, mi sto dedicando alla scrittura (e il che mi piace e mi appaga) e, anche se nel pomeriggio parteciperò a un funerale (la vita ci ricorda che scorre che per tutti) penso che sarà una giornata con molte occasioni per imparare e rendermi utile. Triste o no, ogni giorno è un dono e non posso che augurarvi dal profondo del cuore non solo “Buona giornata”, ma viste le premesse “Una giornata buona”.

mercoledì 14 gennaio 2015

La morte della conversazione

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Erano stati progettati per aiutarci nelle relazioni di tutti i giorni: sapere che c'è coda, che hai perso il treno e prenderai quello dopo, che stai bene e hai voglia di tornare a casa e di abbracciare la persona a cui vuoi bene. E’ splendido quando sei lontano non solo sentire, ma vedere sul tuo tablet i tuoi amici, i tuoi familiari, i colleghi di lavoro come se fossero lì con te. Tutto bene dunque con gli smartphone?
No, non sempre è così, lo sappiamo per esperienza e ora ce lo dimostra questo bellissimo reportage fotografico.
E così al ristorante dobbiamo rispondere agli sms o alle mail, lo stesso vale quando siamo in vacanza o quando viaggiamo: una volta ci si tuffava in un buon libro o si lasciavano vagare i pensieri guardando fuori dal finestrino, oppure si socializzava con i compagni di viaggio quelli che vedi tutte le mattine.
Ora, invece, io per primo, subiamo il sottile fascino di essere sempre aggiornati sull’ultima notizia o l’ultimo post pubblicato su Facebook, tutti siamo incollati al nostro smartphone e la conversazione langue.
Che peccato, quante grandi occasioni perse, quanta ricchezza nel conoscere nuove persone e consolidare le amicizie esistenti: cosa importano 500, 1000 amici su un social network se poi non sappiamo nemmeno chi sono veramente?
Proviamo, almeno ogni ntanto, a chiudere il tablet e torniamo a conversare: vedrete quanto è bello.

lunedì 12 gennaio 2015

La reflessologia su Olos e Logos – Dialoghi di Medicina Integrata

Vi ho già parlato in altri miei post di Olos e Logos la rivista on line di medicina integrata il cui ideatore, il Dr. Lucio Sottevuole favorire “un colloquio aperto con la medicina dell’ambiente che salvaguardi la tradizione rinnovandola nella modernità nell’alimentarsi (produzione, distribuzione, scelta, manipolazione del cibo) nell’abitare (spazi abitativi, edilizia, ma anche ambiente, paesaggio) nel vivere una “vita buona” (famiglia, lavoro, riposo) che salvaguardi la salute e favorisca il recupero della “bellezza”.

I dialoghi sono alimentati da professionisti di differenti provenienze, esperienze e scuole e interessano anche molte pratiche di tipo olistico. In questa logica il Dr. Sotte mi ha proposto, dopo i due articoli sulle arti marziali e la loro utilità nella vita quotidiana, una serie di interventi mirati a fare conoscere gli aspetti teorici e pratici della reflessologia soprattutto in relazione ai “mali di stagione”. In questo numero potete trovare il primo di 5 articoli dal titolo “La reflessologia: un’arte antica tra antropologia, psicosomatica e filosofie orientali”.

Clicca qui per scaricare il pdf dell’articolo “La reflessologia: un’arte antica tra antropologia, psicosomatica e filosofie orientali”.

Articoli precedenti:


venerdì 9 gennaio 2015

Un disturbo, un libro di Tiziano Cornegliani



Insonnia

“Una storia noiosa”, da “I Racconti”,
di Anton Čechov 

Clicca qui per scaricare l'articolo.




mercoledì 7 gennaio 2015

Quando le parole aiutano a curare


“Le parole sono dotate di un immenso potere: sono in grado di aiutare, di indicare un cammino, di recare la speranza. Lo scrive Eugenio Borgna, psichiatra illustre, nel suo ultimo libro “La fragilità che è in noi”,  ma non solo.
Alla base di questo libro c’è un progetto specifico, il progetto "Ippocrates" che è durato due anni presso l’Istituto dei tumori di Milano con lo scopo di migliorare il rapporto medico-paziente. L’idea era quella di premiare attraverso delle note pubbliche i medici più comunicativi in modo da renderli una sorta di esempio per gli altri e stimolare a una migliore comunicazione empatica. L’obiettivo finale, come in realtà si evince anche da questo articolo di Corriere Salute, rimane sempre il paziente, come affronta la sua malattia e la sua guarigione. E chi più del proprio medico può aiutare in questo percorso?
Come sempre le parole hanno un potere curativo: lo vediamo nelle piccole situazioni di tutti i giorni quando abbiamo bisogno di essere consolati, ascoltati, approvati.
Nelle sessioni counseling le persone si raccontano e nel raccontarsi si avviano alla ricerca dei cambiamenti profondi proprio attraverso le parole che vengono accolte, ascoltate e rese importanti. Parlare aiuta: forse perché nel dialogo, se è sincero, si impara, si cresce e ci si mette in gioco.