martedì 8 luglio 2025

Il silenzio degli assenti: piccola indagine sul perché la gente non risponde ai messaggi

 




C’è un piccolo dolore, sottile e quotidiano, che scivola nelle nostre giornate con l’aspetto di una notifica mancata: è l’attesa di una risposta che non arriva. Un messaggio inviato – magari con cura, con intento affettuoso o semplicemente umano – cade nel vuoto come una bottiglia nell’oceano. 

Nessun segnale di ritorno. Nessuna eco.

Viviamo immersi in un sistema di comunicazione continua e, paradossalmente, ci troviamo a fare i conti con un’assenza costante dell’altro

Dove sono finiti i destinatari dei nostri messaggi?

Questa piccola indagine non vuole essere un atto d’accusa, ma una riflessione tra psicologia, cultura, educazione e abitudini sociali.

Viviamo nella civiltà dell’istantaneità. Tutto avviene ora, subito, velocemente. Le menti sono sature di input, notifiche, alert, task da completare, richieste da filtrare. 

In questa giungla digitale, un messaggio – soprattutto se non urgente – può facilmente perdersi.

Come scriveva Calvino: “La molteplicità è uno dei segni del tempo: troppe cose, troppi pensieri, troppe parole.”

E allora, non è cattiveria. È stanchezza cognitiva. È smarrimento. È dimenticanza.

Non tutti vivono la comunicazione con leggerezza. Per alcuni, rispondere implica esposizione, impegno, giudizio. È l’ansia della parola giusta, la paura di dire troppo o troppo poco

Rispondere diventa un gesto carico di implicazioni emotive, e il rinvio si trasforma in silenzio.

Non è disinteresse: è insicurezza.

Spesso, chi scrive e chi legge non condividono la stessa percezione della relazione. Quello che per uno è legame, per l’altro è distanza. 

In altre parole: non tutti occupano lo stesso spazio nei pensieri altrui.

La mancata risposta diventa allora una forma, consapevole o meno, di disinteresse.

Scrivere un messaggio è un gesto apparentemente semplice. Ma senza tono, sguardo, presenza, il testo diventa fragile soprattutto in ambito professionale. 

In un contesto così disincarnato, il messaggio perde forza, diventa trascurabile.

Senza l’emozione che passa da un volto, le parole si svuotano.

Per alcuni, non rispondere è una strategia precisa. Evitare una conversazione, un confronto, una scelta. È una forma passiva di rifiuto o difesa.

È un silenzio che dice: “non voglio entrare in questa relazione, o in questo momento.”

Nel mondo liquido di Bauman, anche i legami diventano fluidi. Il “ghosting” – ovvero sparire senza spiegazioni – è ormai fenomeno normale, perfino legittimato dai codici del nostro tempo.

La mancata risposta diventa allora una forma codificata di chiusura: brutale, ma comune

Non tutti hanno la stessa percezione del tempo. Per alcuni, un messaggio richiede risposta immediata; per altri, può attendere giorni, settimane. In assenza di un patto comunicativo condiviso, la frustrazione cresce.

La risposta non arriva, ma non perché non arriverà mai. Solo non adesso.

E poi c’è la questione, semplice e diretta, della maleducazione, non nel senso punitivo o scolastico del termine, ma in quello più profondo: la perdita del senso dell’altro.

Rispondere a un messaggio è un piccolo atto di rispetto, di riconoscimento, di civiltà. Chi non lo fa – sistematicamente, consapevolmente – sta negando l’esistenza dell’altro.

Scriveva Simone Weil: “L’attenzione è la forma più rara e pura di generosità.” Rispondere a un messaggio è, in fondo, un gesto minimo di attenzione

Rispondere a un messaggio non è un obbligo morale, ma è un segno di presenza. In un mondo che ci abitua a scomparire, a ignorare, a correre, chi risponde sceglie di fermarsi un attimo, di ascoltare, di esserci.

E forse, in questa epoca rumorosa e frenetica, è un atto silenzioso di resistenza umana.

 


  • Bauman, Z. (2013). Amore liquido. Sulla fragilità dei legami affettivi. Laterza.
  • Weil, S. (2019). Attesa di Dio. Adelphi.

  • Calvino, I. (1993). Lezioni americane. Garzanti.

  • Turkle, S. (2020). Reclaiming Conversation. Penguin Books.

  • Goleman, D. (2021). Intelligenza emotiva. BUR.

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