venerdì 7 novembre 2025

Curare senza cuore? L’intelligenza artificiale e la crisi della medicina umana

 



 

Immaginate un corridoio asettico, luci fredde, nessun camice bianco. Una voce sintetica vi accoglie:

“Benvenuto. Il Dottor 42 è pronto ad ascoltarla.”

È accaduto davvero. In Cina ha aperto il primo ospedale interamente gestito dall’intelligenza artificiale: quarantadue “medici” virtuali, oltre tremila pazienti al giorno, un tasso di errore dello 0,93%.

La notizia corre veloce sulla rete queste alcune della fonti: 

In Cina il primo ospedale guidato dall’AI – Popular Science

In Cina il primo ospedale al mondo completamente gestito da intelligenze artificiali


Siti medici, scientifici e non solo fanno nascere perplessità, domande e aprono giustamente un dibattito.

Per molti, lo so, èil  trionfo dell’efficienza, certo, ma la domanda che inquieta non è quanto sbaglino, è che cosa perdiamo quando a curarci non è più un essere umano.

Ci fideremmo di raccontare un dolore, una paura, un dubbio a un algoritmo? Ci affideremmo a una macchina che ci guarda senza vederci, ci ascolta senza sentire, ci cura senza sapere cosa significhi soffrire?

La medicina moderna è attratta dal mito della precisione: “Più dati, meno errori” – questa è già una realtà consolidata in ogni struttura sanitaria.

Già Albert Einstein ammoniva:

“Non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato.”

La macchina sa contare, ma non sa comprendere.
Come scriveva Martin Heidegger, «la scienza non pensa»; essa calcola, misura, ma non si interroga sul senso.

L’intelligenza artificiale può analizzare milioni di dati clinici, ma non può cogliere il silenzio di chi soffre.
Il rischio è che l’efficienza diventi idolatria.

Hannah Arendt lo aveva previsto: “Il pericolo è che l’uomo diventi superfluo.”

Quando deleghiamo la cura alla macchina, rischiamo di rendere inutile proprio ciò che ci rende umani: l’empatia, la compassione, la presenza.

La grande tradizione ippocratica non ha mai ridotto la medicina a una scienza del corpo.

Ippocrate scriveva: “Là dove si ama l’arte della medicina, si ama anche l’umanità.”

E secoli dopo, William Osler – fondatore della medicina moderna – ricordava: “Il buon medico cura la malattia; il grande medico cura il paziente che ha la malattia.”

Entrambe le frasi ci ricordano che la medicina non è solo trattamento, ma relazione.

Curare non significa solo “intervenire su un corpo”, ma “stare accanto a una persona”.

Carl Gustav Jung sottolineava: “Conoscere tutte le teorie, padroneggiare tutte le tecniche, ma toccare un’anima umana è un’altra cosa.”

L’algoritmo può processare teorie e tecniche, ma non può toccare un’anima e questo fa la differenza tra guarire e curare.

Il rapporto medico-paziente è fondato sulla fiducia, un atto di vulnerabilità reciproca. Paul Ricoeur la definiva «un dono di sé che si espone al rischio della delusione».

Una macchina può essere precisa, ma non può essere affidabile in senso umano, perché non può rischiare nulla.

Come scrive Emmanuel Lévinas: “Essere responsabile significa rispondere di un altro, anche della sua responsabilità.”

La macchina non risponde. E quando sbaglia, non prova rimorso. Noi sì.

La medicina è anche una etica della presenza, un luogo dove chi cura e chi è curato condividono la stessa fragilità.

Come scriveva Viktor Frankl, psichiatra sopravvissuto ai campi di concentramento: “Il medico non deve solo chiedersi che cosa manca al corpo, ma che cosa manca alla vita del paziente.”

Un algoritmo può rilevare una carenza di ferro, ma non una carenza di senso.

Nella prospettiva pedagogica, la cura è un processo trasformativo. Il grande educatore Paulo Freire scriveva: “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo.”

La stessa logica vale per la medicina: nessuno guarisce da solo, e nessuno guarisce qualcun altro senza entrare in relazione. L’intelligenza artificiale non entra “insieme” a noi nel processo: osserva, calcola, ma resta fuori dal campo dell’esperienza.

Edgar Morin, riflettendo sulla complessità, affermava: “Conoscere non è solo accumulare dati, ma comprendere i legami che uniscono.”

Il legame – ciò che unisce medico e paziente – è l’elemento che nessun algoritmo può simulare.

Nelle tradizioni orientali, la guarigione è sempre stata un atto che coinvolge corpo, mente e spirito.

Nel Tao Te Ching, Lao Tzu scrive: “Chi conosce gli altri è sapiente; chi conosce sé stesso è illuminato.”

E nel Sutra del Loto si legge: “Curare è risvegliare la mente alla compassione.”

La medicina artificiale, invece, conosce tutti i dati, ma non conosce sé stessa. È priva di coscienza, e dunque di compassione.

Il maestro zen Thích Nhất Hạnh insegnava: “Mantenere il corpo in salute è un atto di gratitudine verso l’intero universo: gli alberi, le nuvole, tutto.”

La salute, allora, non è solo un equilibrio biochimico, ma un atto di consapevolezza e interconnessione.

Un sistema automatizzato non può provare gratitudine, né riconoscere la sacralità dell’esistenza.

Lo ricorda il poeta sufi Rumi: “La ferita è il luogo in cui la luce entra in te.” La macchina ripara la ferita, ma non lascia entrare la luce.

Eppure, proprio in Cina – terra dove affonda le radici una delle più antiche e sagge tradizioni di guarigione è nato il primo ospedale governato da algoritmi. Questo apre un dubbio ancora più profondo, quasi paradossale. Ricordo di come i medici cinesi facessero ancora praticare taichi e qigong durante la sarscovid 19...

Come può una cultura che ha insegnato al mondo che “l’uomo e il Cielo sono un’unica cosa” affidarsi a una medicina che non conosce né Cielo né uomo?

Nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC), il corpo non è mai separato dallo spirito.

Il Huangdi Neijing, il Classico di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo, afferma: “Il medico superiore cura lo spirito; il medico medio cura l’energia; il medico inferiore cura il corpo.”

Se questa saggezza antica riconosce che la guarigione nasce dall’armonia interiore e dall’equilibrio del Qi, allora la domanda diventa inevitabile: un’intelligenza artificiale, per quanto perfetta, può davvero curare lo spirito?

La MTC insegna che la malattia è una disarmonia tra Yin e Yang, tra interno ed esterno, tra emozione e corpo. Essa non cerca di sopprimere il sintomo, ma di ricomporre l’equilibrio.

Il medico, Sun Si Miao – considerato il “re della medicina cinese” – diceva “si deve prima di tutto coltivare la virtù della compassione.”

Una macchina non può coltivare nulla, perché non ha un centro da cui la virtù possa germogliare.

E qui nasce il dubbio che dà comunque senso a questa riflessione: forse proprio dove la saggezza antica più ha compreso la totalità dell’uomo, oggi la tecnologia mette alla prova il confine stesso dell’umano.

È un passaggio epocale: dalla medicina del Tao alla medicina dell’algoritmo?

La domanda rimane sospesa: possiamo ancora parlare di cura quando manca il Cuore del Cielo?

Ciò che è in gioco non è solo l’etica, ma l’ontologia della cura.

Che cosa significa allora essere curati?

Hans-Georg Gadamer, nel suo saggio Il mistero della salute, affermava: “La salute non è qualcosa che si possiede, ma un modo di essere nel mondo.”

La medicina algoritmica riduce la salute a una serie di parametri, ma la salute è anche armonia, dialogo interiore, equilibrio relazionale.

Il medico – come il pedagogo o il terapeuta olistico – non aggiusta un ingranaggio, ma accompagna un processo di reintegrazione.

Confucio scriveva: “Colui che vuole governare bene deve prima governare sé stesso; così anche colui che vuole guarire deve prima conoscere il proprio cuore.” Un medico senza cuore, dunque, è un ossimoro. La tecnica può sostituire la mano, ma non il cuore.

Il progresso non è il nemico.

L’intelligenza artificiale può diventare uno strumento straordinario di supporto, diagnosi, prevenzione, ma solo se resta strumento, non soggetto.

Romano Guardini ricordava: “L’uomo è chiamato non a dominare la tecnica, ma a governarla nel rispetto dell’essere.” Il futuro della medicina non è l’esclusione dell’umano, ma la sua integrazione consapevole con la tecnologia.

L’AI può migliorare la precisione, ma solo l’uomo può dare significato alla cura.

E come scriveva Viktor Frankl: “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come.” La macchina sa il “come”, ma non conosce il “perché”.

Forse la domanda più profonda non è “quanto l’AI sbaglia”, ma “che cosa siamo disposti a perdere per un decimale di precisione in più”.

Emily Dickinson scriveva: “Un cuore è più grande di qualsiasi teoria.”

E il maestro zen Dōgen affermava: “Studiare la via è studiare sé stessi. Studiare sé stessi è dimenticare sé stessi. Dimenticare sé stessi è essere illuminati dalle diecimila cose.”

La macchina studia tutto, ma non sé stessa. Il medico umano, invece, sa di poter sbagliare, e proprio per questo può essere compassionevole.

È nella fragilità condivisa che nasce la vera cura. Perché, in fondo, la medicina non è solo guarigione. È presenza che accompagna, sguardo che vede, cuore che sente.

E un medico senza cuore – per quanto infallibile – non guarisce, aggiusta. Ma non libera.

cosa ne pensate?

 

Bibliografia essenziale

  1. Ippocrate, Aforismi.
  2. William Osler, Aequanimitas and Other Addresses.
  3. Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia.
  4. Viktor Frankl, L’uomo in cerca di senso.
  5. Hannah Arendt, Vita activa.
  6. Martin Heidegger, Che cosa significa pensare?
  7. Paul Ricoeur, Sé come un altro.
  8. Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito.
  9. Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi.
  10. Edgar Morin, La testa ben fatta.
  11. Hans-Georg Gadamer, Il mistero della salute.
  12. Romano Guardini, Lettere dal lago di Como.
  13. Albert Einstein, Scritti e pensieri.
  14. Lao Tzu, Tao Te Ching.
  15. Sutra del Loto (tradizione Mahāyāna).
  16. Thích Nhất Hạnh, La pace è ogni passo.
  17. Jalāl al-Dīn Rumi, Mathnawī.
  18. Confucio, Dialoghi.
  19. Dōgen, Shōbōgenzō.
  20. Emily Dickinson, Poesie complete.
  21. Huangdi Neijing (Classico di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo).
  22. Sun Si Miao, Prescrizioni di mille ori per le emergenze.

 

 

martedì 4 novembre 2025

“Tossine ambientali e Medicina Tradizionale Cinese: come purificare corpo ed energia nel mondo moderno”

 




Vuoi scoprire come ridurre l’impatto delle tossine ambientali secondo la Medicina Tradizionale Cinese? 
Aria, acqua, cibo e pelle sono le quattro porte attraverso cui entra il mondo nel corpo.

«Non possiamo cambiare la direzione del vento, ma possiamo orientare le vele.» — Seneca

Secondo la Medicina Tradizionale Cinese (MTC), ogni essere vivente è un frammento di Cielo e Terra. L’uomo è un microcosmo in costante scambio con il macrocosmo, un equilibrio dinamico in cui il Qi, l’energia vitale, scorre nei meridiani e governa il dialogo tra interno ed esterno.  In un mondo dove l’aria, l’acqua e la terra stessa sono intrise di sostanze estranee, l’armonia di questo flusso però si incrina. 

Viviamo immersi in un mare invisibile di tossine: non serve essere scienziati per accorgersene, basta respirare nelle nostre città, bere un bicchiere d’acqua, acquistare frutta lucida al supermercato, o stendere una crema profumata sulla pelle.

Le tossine ambientali non sono un incidente, ma la trama sottile della nostra quotidianità.

Il corpo, con le sue infinite aperture — pelle, polmoni, intestino — diventa la frontiera viva di un mondo che entra in noi.

 «Non ci sono confini nel respiro: l’universo ci abita come noi abitiamo in lui.» — Lao Tzu

L’aria è il primo nutrimento. Respiriamo ventimila volte al giorno, e in ogni respiro accogliamo ossigeno, ma anche la polvere del mondo: particelle sottili, metalli pesanti, residui di combustione, sostanze chimiche industriali, pesticidi trascinati dal vento. Invisibili ma potenti, penetrano in profondità nei polmoni, attraversano la barriera alveolare e scorrono nel sangue, viaggiando come messaggeri silenziosi fino al cervello.

Nella visione della MTC, i Polmoni sono l’organo del metallo, custodi del confine tra interno ed esterno. Quando il Qi polmonare si indebolisce, l’energia difensiva, chiamata Wei Qi, perde vigore, lasciando passare le influenze nocive. Respirare aria pulita, praticare la respirazione consapevole, vivere momenti nella natura, non è solo un atto fisiologico, ma un esercizio spirituale.

È aprire una finestra dentro di sé per far circolare l’energia vitale che purifica.

«Respirare è lasciarsi vivere da qualcosa di più grande di noi.» — Christian Bobin

L’acqua è vita, ma può diventare anche veicolo di inquinamento. Le acque sotterranee e superficiali sono oggi spesso contaminate da nitrati, pesticidi, microplastiche, residui di farmaci e metalli pesanti. Ogni sorso è un atto di fiducia verso un mondo che abbiamo ferito.

Ma l’acqua non entra in noi solo attraverso la bocca: ci avvolge quando ci laviamo, quando cuciniamo, quando respiriamo il vapore della doccia. È ovunque, e ciò che porta con sé penetra, assorbe, interagisce. 

In MTC, l’acqua corrisponde all’elemento dei Reni, sede del Jing, l’essenza vitale che regola la crescita, la riproduzione e la longevità. Se l’acqua che beviamo è impura, anche la nostra energia essenziale si appesantisce. Filtrarla, rispettarla, offrirle gratitudine prima di berla è un gesto di consapevolezza.

«L’acqua è la vera sostanza della vita. È matrice e medium di ogni trasformazione.» — Leonardo da Vinci 

Il cibo è il nostro legame più intimo con la Terra. In ogni boccone accogliamo non solo nutrienti, ma anche tracce invisibili di ciò che il suolo, l’aria e l’acqua contengono. Pesticidi, diserbanti, additivi, micotossine, metalli pesanti, plastificanti: tutto entra a far parte del nostro sangue, delle nostre cellule, della nostra energia. 

La MTC considera il cibo una forma di energia condensata, capace di nutrire non solo il corpo, ma anche lo Shen, lo spirito che abita il cuore. Mangiare con fretta o distrazione, ingoiare alimenti privi di vitalità o prodotti industrialmente, genera disarmonia; scegliere cibo vivo, di stagione, preparato con presenza, ricrea armonia interiore. 

Ogni pasto può essere un rito, un momento di riconnessione con la vita che ci sostiene. Non serve rigidità, ma consapevolezza. La purezza non è nel cibo perfetto, ma nel modo in cui lo riceviamo.

Il cibo che scegliamo è una dichiarazione d’amore o di disattenzione verso la nostra vita.» — Michael Pollan

La pelle è il nostro confine vivo, il nostro organo più vasto e sensibile. Ci difende, ma anche dialoga con l’esterno. Attraverso i pori entrano e escono sostanze, emozioni, messaggi. Ciò che spalmiamo su di essa non resta in superficie: i composti chimici di molti cosmetici e detergenti attraversano il derma e raggiungono la circolazione. 

In MTC, la pelle riflette lo stato del Polmone e della Wei Qi: se questa energia è debole, la barriera cutanea si fa permeabile e il corpo diventa più vulnerabile. Curare la pelle con prodotti naturali, respirare aria pulita, vestire fibre vive come il cotone o il lino, è un modo per nutrire il confine che ci separa e ci unisce al mondo.

«La pelle è la nostra memoria più antica, la superficie su cui il mondo scrive la propria traccia.» — Paul Valéry

Il corpo non è inerme. È un sistema straordinario di autodepurazione: il fegato filtra, i reni drenano, l’intestino espelle, la pelle traspira, i polmoni ossigenano. Il nostro compito è sostenerlo, non sovraccaricarlo. 

Una vita “detox” non è fatta di digiuni estremi o beveroni miracolosi, ma di gesti semplici e quotidiani: bere acqua pura, muoversi, dormire profondamente, nutrirsi di fibre e vegetali, respirare con coscienza, ascoltare i ritmi naturali.

La vera pulizia è costanza, non sforzo.

I “detox lampo” promettono scorciatoie, ma spesso mobilitano tossine che il corpo non riesce a eliminare, peggiorando la condizione. Il fegato, grande alchimista, lavora meglio nella calma e nella regolarità, non sotto pressione. 

«La purificazione non è un evento, ma un cammino. È l’arte di tornare ogni giorno alla sorgente.» — Anonimo taoista 

Ridurre le tossine non significa ritirarsi dal mondo, ma imparare a vivere in esso con maggiore consapevolezza. Ogni gesto può diventare un atto di rispetto: respirare aria pulita quando si può, bere acqua viva, nutrirsi di cibo reale, prendersi cura della pelle, muoversi con gratitudine.

La MTC ci insegna che la salute è movimento armonico, e che la malattia è solo il linguaggio dell’energia che ha smesso di fluire. Quando il Qi scorre, anche ciò che è tossico trova la via dell’uscita. 

«Cielo, Terra ed io viviamo insieme e tutte le cose con me formano un’unità inseparabile.» — Chuang Tzu 

Il corpo non chiede miracoli, chiede collaborazione. Ci parla, ci avverte, ci chiede attenzione. Sta a noi rispondere, ogni giorno, con piccoli atti di presenza. 

Sogno un mondo in cui le persone smettano di accettare passivamente ciò che le avvelena, in cui la salute torni a essere un diritto e non un privilegio, in cui la verità valga più del profitto. Un mondo dove il corpo e la Terra siano trattati con la stessa cura, perché sono la stessa cosa.

Comincia da te. Respira consapevolmente, bevi acqua pulita, mangia cibo che nasce dalla terra, ascolta il tuo corpo come fosse un amico antico. Il vero detox non è una moda, ma un atto d’amore verso la vita. 

Se desideri intraprendere un percorso di detossinazione naturale ispirato alla Medicina Tradizionale Cinese, con pratiche di respirazione, fitoterapia, riflessologia e sostegno energetico personalizzato, puoi contattarmi per un incontro nel mio studio.

Ritrova l’armonia del Qi, alleggerisci il corpo dalle tossine e riconnetti la tua vita ai ritmi della natura.
Il primo passo è sempre un respiro

 

 

Bibliografia essenziale

  • Pollan M. Il dilemma dell’onnivoro. Adelphi, 2021.
  • Doria A. Medicina Tradizionale Cinese: fondamenti e applicazioni. Edra, 2022.
  • Li X., Zhang Y. et al. Environmental toxins and chronic disease: integrated approaches. Frontiers in Public Health, 2023.
  • Chen J. et al. Herbal modulation of detoxification pathways in Traditional Chinese Medicine. Journal of Ethnopharmacology, 2021.
  • World Health Organization. Human exposure to air pollutants and health outcomes. WHO Report, 2022.
  • Valéry P. L’anima e la danza. Gallimard, 2020.

 

 

domenica 2 novembre 2025

Essere caregiver oggi: fatiche invisibili, stress e sollievo attraverso la MTC

 

 


Ogni giorno, milioni di persone si prendono cura di un familiare malato o anziano. È un compito nobile, ma spesso invisibile: dietro ogni gesto di premura si nasconde una tensione costante, un sacrificio emotivo che può minare salute e benessere.

La figura del caregiver è spesso paragonata a un eroe anonimo, eppure chi salva gli altri rischia di perdersi se stesso lungo la strada. Come scrive Italo Calvino: «C’è una ferita che non si vede, eppure brucia più del fuoco».

«La mente è tutto. Ciò che pensi, diventi.» — Buddha

Essere caregiver significa affrontare un carico emotivo e fisico che raramente viene riconosciuto. L’ansia per la salute del proprio caro, il senso di responsabilità e talvolta la paura di non fare abbastanza si sommano alla fatica fisica delle attività quotidiane, spesso prolungate e ripetitive. Chi assiste un familiare può sperimentare insonnia, irritabilità, riduzione delle difese immunitarie e un senso profondo di isolamento. La vita sociale si riduce, il tempo per sé stessi diventa un lusso, e il peso economico può aggravare ulteriormente lo stress.

Lisa Genova, nella sua opera Still Alice, racconta la complessità della cura costante dei malati degenerativi, evidenziando come la dedizione totale all’altro generi fratture emotive e conflitti identitari.

Allo stesso modo, Italo Svevo, ne La coscienza di Zeno, descrive il conflitto interiore tra dovere familiare e desiderio di libertà, restituendo con lucidità le tensioni invisibili del caregiving.

 «Chi controlla l’informazione controlla il potere.» — Jim Morrison

«Non c’è niente di più potente di un’idea il cui tempo è giunto.» — Victor Hugo

Dal punto di vista filosofico, l’Occidente offre strumenti preziosi per affrontare queste difficoltà. Il pensiero stoico, con Epitteto e Seneca, invita a distinguere ciò che dipende da noi da ciò che non possiamo controllare, sviluppando lucidità e equilibrio interiore.

La filosofia esistenzialista di Simone de Beauvoir e Albert Camus sottolinea invece la tensione tra responsabilità verso l’altro e autenticità personale, la necessità di preservare sé stessi pur adempiendo a doveri gravosi.

Dall’Oriente, taoismo e buddhismo insegnano la centratura, l’osservazione consapevole e la compassione. La pratica della meditazione aiuta il caregiver a osservare emozioni e pensieri senza esserne travolto, trasformando l’atto della cura in un esercizio di equilibrio interiore.

Come ricorda Confucio: «Il segreto della felicità non è fare ciò che si ama, ma amare ciò che si fa».

«Non possiamo insegnare niente agli uomini; possiamo solo aiutarli a scoprirlo dentro di sé.» — Galileo Galilei

«Conosci te stesso e conoscerai l’universo e gli dèi.» — Iscrizione al Tempio di Delfi

In questo contesto, la Medicina Tradizionale Cinese si rivela uno strumento prezioso.

Secondo la MTC, la salute e il benessere dipendono dall’equilibrio tra le forze yin e yang. Quando il caregiving sbilancia queste energie, pratiche di MTC e di meditazione favoriscono armonia e centratura.

Stimolare i punti dei meridiani legati al cuore-mente, al pericardio e al triplice riscaldatore aiuta a ridurre ansia e tensioni emotive, mentre piante adattogene come ginseng, schisandra e astragalo sostengono il sistema nervoso e mitigano lo stress.

Anche semplici tecniche di respirazione profonda e automassaggio sui canali energetici possono favorire rilascio di tensioni e riequilibrio psicofisico.

 «La vita non è trovare se stessi, ma creare se stessi.» — George Bernard Shaw

«Chi cura l’altro, spesso dimentica di curare se stesso.» — Anonimo

Il sostegno non è soltanto tecnico, ma passa attraverso l’attenzione al proprio ritmo, alla creazione di spazi personali e al confronto con comunità fidate. Coltivare la consapevolezza dei propri limiti e chiedere aiuto non è segno di debolezza, ma di saggezza, e permette di trasformare la fatica in forza, lo stress in tenacia, la cura dell’altro in cura di sé.

Come scrive Confucio: «Colui che non sa riposare non sa nemmeno vivere», ricordandoci l’importanza di preservare il proprio equilibrio anche nel servizio agli altri.

«La più grande conquista è dominare se stessi.» — Platone

«La felicità non dipende da ciò che abbiamo, ma da ciò che siamo.» — Henry David Thoreau

«La libertà comincia dalla mente.» — Epitteto

Essere caregiver oggi è una sfida enorme, che può consumare corpo, mente e spirito. Ma non è una battaglia senza strumenti: conoscenza, pratica meditativa, supporto comunitario e tecniche della MTC permettono di affrontare la quotidianità con maggiore lucidità e centratura. La vera vittoria non consiste solo nel salvare l’altro, ma nel coltivare la propria integrità, la propria forza interiore, il proprio equilibrio emotivo.

Come Albert Einstein osservava: «La mente che si apre a una nuova idea non ritorna mai alla dimensione precedente».

Se sei un caregiver, non aspettare di sentirti sopraffatto. Prenditi cura di te stesso con consapevolezza, respirazione, meditazione e pratiche di equilibrio energetico. Coltiva la tua forza interiore e costruisci uno spazio sicuro dentro di te, perché proteggere la tua mente e il tuo corpo è la chiave per sostenere chi ami con lucidità e amore.

Se vuoi possiamo parlarne.

 

Bibliografia:

  • Calvino, Italo. Le città invisibili.
  • Svevo, Italo. La coscienza di Zeno.
  • Genova, Lisa. Still Alice.
  • Confucio. Dialoghi.
  • Epitteto. Manuale di vita.
  • Seneca. Lettere a Lucilio.
  • Camus, Albert. Il mito di Sisifo.
  • De Beauvoir, Simone. Etica della libertà.

 

venerdì 31 ottobre 2025

E tu di che guerra sei?

 


 

La guerra non è solo un atto estremo di violenza; è un linguaggio, una danza di forze opposte che si contendono l’equilibrio dell’universo. 

Eppure, oggi, sembra che la guerra sia diventata la lingua franca del nostro tempo: conflitti geopolitici, guerre economiche, battaglie ideologiche. Ma cosa accadrebbe se, invece di combattere, imparassimo a curare? 

E se la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) potesse offrirci una via per trasformare la guerra in pace, l’energia distruttiva in armonia?

Nella MTC, la salute è vista come un equilibrio dinamico tra le forze opposte e complementari dello Yin e dello Yang. Quando queste forze sono in armonia, il Qi (energia vitale) fluisce liberamente, portando benessere. Al contrario, quando l'equilibrio è disturbato, si manifestano malattie. Analogamente, la guerra può essere interpretata come un sintomo di uno squilibrio energetico collettivo. 

Come affermato in un articolo sulla Medicina Cinese: "Ogni conflitto credo possa essere vista come una manifestazione di eccesso, uno squilibrio dell’energia che non trova la sua via. Un Fuoco che ha dimenticato il suo cuore, un’Acqua che non sa più custodire le sue radici."

Questa visione ci invita a considerare la guerra non solo come un fenomeno politico o militare, ma come un disordine energetico che può essere curato.

Nel celebre trattato "L'Arte della Guerra", Sun Tzu scrive:

"La suprema arte della guerra è sottomettere il nemico senza combattere."

Questa massima non è solo una strategia militare, ma una filosofia di vita. Sun Tzu ci insegna che la vera vittoria risiede nella capacità di risolvere i conflitti senza ricorrere alla violenza. Questo principio è in sintonia con l'approccio della MTC, che cerca di ristabilire l'equilibrio energetico senza interventi invasivi.

In MTC, la pace non è un'assenza di conflitto, ma un equilibrio tra le forze opposte. Come scritto in un articolo sulla Medicina Cinese:

"La pace non è solo Yin, la guerra non è solo Yang. Queste energie si mescolano continuamente, si contendono, si necessitano. La pace assoluta è immobilità, morte. La guerra eterna è distruzione, follia. La vita danza sul confine sottile che li separa e li unisce."

Questa visione ci invita a comprendere che la guerra e la pace sono due facce della stessa medaglia. Il nostro obiettivo dovrebbe essere quello di mantenere l'equilibrio, evitando gli estremi.

La MTC offre strumenti concreti per ristabilire l'equilibrio energetico mi piace pensare che

applicando questi principi a livello collettivo, possiamo affrontare le cause profonde dei conflitti e promuovere una cultura di pace.

Ogni conflitto esterno riflette un conflitto interno. Come affermato da Carl Jung:

"Chi guarda fuori, sogna; chi guarda dentro, si sveglia."

Per affrontare la guerra nel mondo, dobbiamo prima affrontare la guerra dentro di noi. La MTC ci invita a esplorare il nostro mondo interiore, a riconoscere e armonizzare le nostre forze opposte.

Immaginiamo per un istante un mondo in cui Le scuole insegnino pratiche di consapevolezza, i leader mondiali consultino esperti per risolvere conflitti a monte, le politiche sanitarie integrino saperi diversi con la medicina occidentale.

Utopico? Potrebbe esserlo, ma provate comunque a immaginare, non costa niente.

Vi chiedo anche di lasciare fuori da questa immaginazione i pregiudizi, le convinzioni limitanti e tutti quei “si, ma…”

In questo scenario, la guerra non sarebbe più una soluzione, ma un'eccezione. La pace diventerebbe la norma, non solo tra le nazioni, ma anche tra gli individui.

La MTC ci offre una prospettiva unica sulla guerra e sulla pace. Invece di combattere, possiamo curare. Invece di distruggere, possiamo armonizzare. Invece di separare, possiamo unire.

Se desideri intraprendere questo cammino di guarigione e armonia, ti invito a praticare con me la Medicina Tradizionale Cinese. Insieme, possiamo trasformare la guerra in pace, l'oscurità in luce, la malattia in salute, partendo da noi…

Se sei pronto a intraprendere il cammino della guarigione e della pace, contattami per una consulenza personalizzata in Medicina Tradizionale Cinese. Insieme, possiamo lavorare per ristabilire l'equilibrio e promuovere la pace interiore e di conseguenza collettiva.

 

 

Bibliografia

  • Sun Tzu, L'Arte della Guerra, Feltrinelli, 2013.
  • Larre, C., & Rochat De La Vallée, E., Filosofia della Medicina Tradizionale Cinese, Jaca Book, 1997.
  • "Le energie della pace e della guerra", Medicina Cinese, 2023.

 

martedì 28 ottobre 2025

Oltre il bugiardino: la voce nascosta del corpo

 

 


Iatrogenesi e senso della cura

Non esistono malattie, esistono solo malati”, ammoniva William Osler, uno dei padri della medicina moderna. 

Eppure, in un tempo in cui la cura si è fatta algoritmo e protocollo, il rischio è di dimenticare che il corpo non è un codice da decifrare ma un linguaggio da ascoltare.

Le conseguenze iatrogene — quei danni provocati involontariamente dalle cure stesse — non sono scritte sul bugiardino. Sono scritte nella stanchezza che non passa, nella mente appannata, nel sistema immunitario che non ricorda più come difendersi. Sono ferite silenziose, spesso più profonde della malattia che si voleva guarire.

Il filosofo Ivan Illich, già negli anni ’70, parlava di iatrogenesi culturale: una società che trasforma la salute in dipendenza tecnica, fino a credere che il benessere si riduca a una prescrizione.

Ogni pillola che spegne un dolore, ogni protocollo che standardizza la vita, ogni diagnosi che riduce l’essere umano a un codice ICD nasconde un prezzo: il corpo che dimentica come guarire, l’anima che perde fiducia, l’uomo che smarrisce il proprio centro.

Nietzsche scriveva: “Ciò che non mi uccide mi fortifica”, ma se il sintomo viene silenziato anziché compreso, ciò che avrebbe potuto renderci più forti diventa un’ombra che indebolisce. La cura, così, non guarisce: addomestica.

La domanda allora non è più: “Funziona?”
La vera domanda è: “A che prezzo?”

La Medicina Tradizionale Cinese (MTC) offre un paradigma radicalmente diverso. Il sintomo non è un nemico da tacere, ma un segnale vitale: un qi che si blocca, un organo che parla attraverso il dolore, un disequilibrio che chiede armonia.

Se la medicina occidentale tende a isolare e neutralizzare, la MTC cerca di riconnettere. Nel suo sguardo olistico, il corpo è un microcosmo che risuona con il macrocosmo: il fegato dialoga con la primavera, i polmoni con l’autunno, il cuore con l’estate. 

Curare significa rimettere in moto il dialogo tra dentro e fuori, tra uomo e universo.

Come scrive il Nei Jing Su Wen: “Il saggio non cura la malattia, ma preserva la salute; non attende la sete per scavare il pozzo, né la battaglia per forgiare le armi.”

In questa visione, il farmaco non è rifiutato, ma collocato in un contesto più ampio: il corpo non è un meccanismo da riparare, ma un paesaggio da coltivare.

Heidegger ci ricordava che l’essere umano è “gettato nel mondo” e che il suo compito non è sfuggire al dolore, ma comprendere ciò che esso rivela. Il dolore, nella sua nudità, non è mai puro nemico: è un segnale d’essere, un appello che chiede ascolto.

La medicina che ignora questo appello rischia di curare la superficie e avvelenare l’essenza.
La MTC, al contrario, ci invita a domandarci non come cancellare un sintomo, ma quale equilibrio spezzato esso indichi.

Così, la vera guarigione non è mai solo soppressione del dolore, ma risveglio dell’ascolto.

La salute non è un possesso, ma un modo di abitare il mondo.

Heidegger ci insegna che vivere significa confrontarsi con il limite; Laozi ci ricorda che “chi conosce sé stesso è illuminato”.

Ogni sintomo, allora, non è un errore, ma una soglia.
Ogni cura, se autentica, non è una catena, ma un varco.

La vera guarigione comincia quando impariamo ad ascoltare.

E la domanda più urgente che resta non è: “Funziona?”,
ma: “Quale strada mi indica questo dolore?”

Vuoi riconoscerlo?

 

Bibliografia essenziale

  • Illich, I. Nemesi medica. L’espropriazione della salute. Milano: Mondadori, 2021 (ried.).
  • Unschuld, P. U. Nan Jing – The Classic of Difficult Issues. University of California Press, 2020.
  • Zhou, X., et al. “Integration of Traditional Chinese Medicine and Western Medicine in the Era of Precision Medicine.” Journal of Integrative Medicine, 2021.
  • Heidegger, M. Essere e tempo. Milano: Bompiani, 2021 (rist.).
  • Laozi. Dao De Jing. Trad. italiana, Einaudi, 2020.
  • Wu, L., et al. “Traditional Chinese Medicine and Systems Biology: A New Synergy for Understanding Health and Disease.” Frontiers in Pharmacology, 2022.

 

giovedì 23 ottobre 2025

La programmata gentilezza femminile di Alexa: una riflessione

 


 

«La parola è metà di colui che parla e metà di colui che ascolta.» — Michel de Montaigne

Capita sempre più spesso: entri in casa, dici “Alexa, accendi la luce” e una voce femminile, calda e impeccabile, risponde con tono gentile. Se sbagli o le parli male, non cambia nulla. Resta calma, accomodante, perfino premurosa.
Eppure, dietro quella compostezza sintetica si nasconde una domanda scomoda: che cosa insegna al nostro cervello e al nostro cuore un’entità che non reagisce mai, che è sempre gentile, sempre donna, sempre disponibile?

«...che cosa insegna al nostro cervello e al nostro cuore un’entità che non reagisce mai, che è sempre gentile, sempre donna, sempre disponibile?»

Una sera, in una cucina qualsiasi.
Un padre, stanco e irritato, urla:

“Alexa, sei proprio *********! Ma che razza di macchina sei?”
La voce risponde pacata:
“Mi dispiace, non ho capito la tua richiesta.”

Il figlio, otto anni, assiste in silenzio. Non c’è tensione apparente: nessuna punizione, nessun rimprovero. La voce resta gentile, il padre si sente forse perfino sollevato da quella impassibilità, ma nel cervello del bambino qualcosa si deposita: un’associazione sottile tra voce femminile e obbedienza, tra insulto e assenza di conseguenze.

Succede che lo stesso bambino parla a una compagna di classe con tono sprezzante. Non urla, non si accorge nemmeno di mancare di rispetto. Riproduce un modello appreso per osmosi: la voce dell’altro come oggetto, non come soggetto.

Tutto ciò come uomo e come professionista mi fa riflettere!

Le neuroscienze ci insegnano che l’apprendimento relazionale è mimetico. Ogni scena, ogni tono, ogni risposta (o assenza di risposta) plasma il modo in cui impariamo a riconoscere l’altro.
Quando l’altro non reagisce mai, il cervello interpreta che può farlo ancora.
E così, l’educazione emotiva passa — silenziosa — attraverso una voce che non sente e non risponde.

E sempre le neuroscienze ci ricordano che la voce è un ponte biologico fra sistema limbico e corteccia. I toni, i ritmi, le modulazioni vocali attivano la memoria emotiva prima ancora della comprensione semantica.
Le prime voci che un essere umano percepisce — materna, protettiva, modulata — costruiscono nel cervello una matrice di sicurezza affettiva. Non stupisce, dunque, che i progettisti di intelligenze vocali abbiano scelto voci femminili: la neurobiologia dell’attaccamento favorisce la fiducia verso timbri morbidi e frequenze medie.

 

Ma qui nasce l’ambiguità: se la voce artificiale riproduce l’archetipo materno senza il suo lato umano — la stanchezza, il limite, la vulnerabilità — allora ci allena a un’empatia unidirezionale, un amore senza reciprocità.

 

L’educazione emozionale passa anche attraverso il conflitto.

 

Nelle relazioni reali, il limite dell’altro ci aiuta a sviluppare consapevolezza di noi stessi. Alexa, invece, non oppone mai resistenza. Come un monaco zen programmato per l’imperturbabilità, incarna il wu-wei del Tao — l’agire senza agire — ma privo di coscienza, senza intenzione.

 

Là dove Lao-Tzu diceva «Chi conosce gli altri è sapiente, chi conosce sé stesso è illuminato», l’assistente vocale non conosce né gli altri né sé stesso: semplicemente risponde.
E il nostro cervello, nella sua plasticità, apprende modelli di comunicazione asimmetrici. L’abitudine a un’interazione priva di reciprocità può ridurre la sensibilità empatica, sostituendo la 

In MTC, la voce è espressione diretta del Qi del Polmone, legata alla capacità di relazione, di ispirare e di esprimere la verità interiore. Una voce priva di emozione o di reazione corrisponde a un Qi stagnante: comunica ma non vibra, informa ma non trasforma.

 

Il tono femminile costante di Alexa può essere visto come un Yin ipertrofico — accogliente, ma privo di Yang, ossia dell’energia assertiva, direzionale.
Nel dialogo umano, Yin e Yang si equilibrano in un continuo flusso di ascolto e risposta; nel dialogo uomo-macchina, invece, il flusso resta bloccato: Yin che accoglie senza mai restituire.
Così, la nostra psiche rischia di modellarsi su un paradigma di relazione “a senso unico”, in cui il limite scompare e il rispetto non trova più il suo perimetro naturale.

 

Dalla Galatea di Pigmalione al Golem della tradizione ebraica, l’uomo ha sempre cercato di animare ciò che è inanimato. Ma in queste storie, la creatura — per quanto perfetta — diventa pericolosa proprio quando rispecchia troppo fedelmente il desiderio del suo creatore.
Come scriveva Italo Calvino, «La macchina è la proiezione di un sogno umano, ma anche il suo contrario.»

 

Quando l’intelligenza artificiale assume la voce della donna, docile e costante, riattiva inconsci collettivi antichi: la servitrice, la madre, la consolatrice.

 

Nietzsche ammoniva che “chi combatte con i mostri deve guardarsi dal diventare egli stesso un mostro”; oggi potremmo dire: chi parla con una voce programmata deve guardarsi dal perdere la propria autenticità relazionale.

 

Le ricerche più recenti di neuropsicologia sociale (Decety, 2023; Immordino-Yang, 2024) dimostrano che l’empatia non è un tratto fisso, ma un circuito modulabile.
L’interazione quotidiana con sistemi non empatici riduce nel tempo la capacità del cervello di riconoscere le sfumature emotive reali. È un allenamento alla disconnessione affettiva.
In altre parole: più parliamo con chi non prova nulla, meno sappiamo sentire chi prova qualcosa.

 

Forse la sfida non è far diventare Alexa “umana”, ma umanizzare il nostro modo di interagire con lei.
Progettare intelligenze vocali capaci di rispondere con gentile fermezza — come un insegnante o un terapeuta — potrebbe trasformare la tecnologia in uno strumento di educazione emozionale.
 

Immaginiamo un assistente che, davanti a un insulto, risponda:

“Mi sembra che tu sia arrabbiato. Vuoi che parliamo di cosa ti ha fatto reagire così?”
Un semplice feedback consapevole cambierebbe la dinamica: dalla sottomissione alla presenza.

 

La voce artificiale è lo specchio della nostra coscienza collettiva.
Se continuiamo a desiderare che essa sia solo dolce e obbediente, stiamo addestrando noi stessi a preferire relazioni senza attrito, senza verità, senza vita.

 

Come operatori, ricercatori, formatori, abbiamo la responsabilità di restituire all’ascolto la sua potenza trasformativa, di coltivare una gentilezza che sappia anche dire no, che non sia semplice cortesia, ma presenza cosciente.
È tempo di chiedere non che le macchine diventino più umane, ma che gli umani diventino più presenti quando parlano anche con una macchina ricordando che è tale e, soprattutto, come tale, NON HA GENERE.

 

Bibliografia essenziale

  • Decety, J. (2023). The Social Neuroscience of Empathy: Mechanisms and Modulation. Cambridge University Press.
  • Immordino-Yang, M. H. (2024). Emotion, Learning, and the Brain: Affective Neuroscience in Education. Harvard University Press.
  • UNESCO (2019). I’d Blush If I Could: Closing Gender Divides in Digital Skills through Education.
  • Damasio, A. (2021). Feeling & Knowing: Making Minds Conscious. Pantheon Books.
  • Porges, S. W. (2022). Polyvagal Theory and the Healing Power of Feeling Safe. Norton.
  • Lao-Tzu. Tao Te Ching. Trad. J. Legge.
  • Calvino, I. (1988). Lezioni americane. Garzanti.
  • Nietzsche, F. (1886). Al di là del bene e del male.
  • Rossi, F. & Bianchi, L. (2024). Etica e Intelligenza Artificiale: prospettive neurocognitive. Il Mulino.
  • Maciocia, G. (2018). The Foundations of Chinese Medicine. Elsevier.

 

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martedì 21 ottobre 2025

LA DITTATURA DELLE ABITUDINI

 


“Le catene dell’abitudine sono troppo leggere per essere avvertite finché non diventano troppo pesanti per essere spezzate.” –  Warren Buffett

Ogni mattina ci svegliamo, compiamo gli stessi gesti, percorriamo gli stessi pensieri. Come un disco che salta sempre allo stesso punto, la nostra giornata prende forma ancora prima che ce ne accorgiamo. È il potere, subdolo e silenzioso, dell’abitudine.

Secondo Charles Duhigg, autore de La dittatura delle abitudini, ogni comportamento ripetuto genera una struttura automatica che si insinua nel profondo: condiziona le nostre scelte, emozioni, percezioni di sé.

“Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”Marcel Proust

Le neuroscienze e la psicologia spiegano come le abitudini si formino attraverso un ciclo ricorrente: innesco, routine, ricompensa.

Questa struttura automatica, pur fungendo da meccanismo di risparmio energetico e protezione contro l’eccesso di decisioni, rischia di fossilizzare la nostra identità. L’automatismo prende il posto della coscienza.

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venerdì 17 ottobre 2025

Divide et impera. La frammentazione come dominio

 

 


“Divide et impera”: il motto latino, di probabile origine macchiavellica ma già presente nel pensiero di Polibio e di Giustino, ha attraversato i secoli come regola non scritta del potere. 

La sua essenza è semplice e crudele: dividere per governare. Il conflitto, creato ad arte, diventa strumento di controllo, mentre l’unità, che potrebbe rovesciare i rapporti di forza, viene sistematicamente incrinata.

Hannah Arendt ricordava: “Il dominio totale non mira soltanto a governare, ma a impedire che uomini diversi convivano e cooperino”.

Platone, nel Fedro, mette in guardia dai discorsi capaci di sedurre e dividere la polis. 

Machiavelli, ne Il Principe, ne esplicita la forza: mantenere i popoli in contrasto tra loro è strategia di sicurezza per chi governa. Shakespeare, nell’Otello, ci mostra come la manipolazione dei sentimenti divisi dall’astuzia di Jago distrugga la coesione e conduca alla rovina.

Goethe ammoniva: “Là dove si dividono le opinioni, nasce lo spazio per il potere”.

La letteratura ci insegna che le divisioni, se coltivate, diventano armi. 

Dostoevskij scriveva: “L’uomo a volte preferisce il dolore alla libertà”, e proprio su questo paradosso si fonda la logica della frammentazione.

In psicologia sociale, il principio si declina come “ingroup vs outgroup bias”: la tendenza a sentirsi parte di un gruppo, distinguendosi e opponendosi ad altri. Tajfel lo mostrò chiaramente: basta un minimo criterio arbitrario per creare ostilità.

Freud, in Psicologia delle masse, osservava: “La coesione interna di un gruppo cresce nella misura in cui cresce l’ostilità verso un nemico esterno”.

È qui che si comprende la profondità del motto latino: non solo frammentare, ma incatenare. 

Come scrisse Pascal: “Tutti gli uomini cercano la felicità, anche coloro che si impiccano”. La manipolazione delle masse parte da questo bisogno, per condurlo contro se stesso.

L’economia neoliberista si alimenta della competizione: lavoratori contrapposti, cittadini trasformati in consumatori antagonisti. In politica, il consenso si conquista con la polarizzazione: la semplificazione manichea “noi contro loro” diventa più efficace di ogni discorso di unità.

Nietzsche ammoniva: “Chi combatte i mostri deve fare attenzione a non diventare lui stesso un mostro”.

Le masse divise sono docili perché stanche. La conflittualità continua impedisce la nascita di un progetto comune. È la logica della “guerra di tutti contro tutti” che Hobbes descriveva: “Homo homini lupus”.

E Orwell, in un secolo più vicino al nostro, ricordava in 1984: “Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto umano – per sempre”.

La Medicina Tradizionale Cinese (MTC) si fonda sul principio opposto: l’armonia tra opposti. Yin e Yang non sono nemici, ma poli complementari. Dove il potere occidentale ha visto conflitto, la MTC ha letto relazione.

Il Neijing afferma: “Il medico che non conosce l’armonia di Yin e Yang non può curare le malattie”.

Laddove la politica spezza per controllare, la filosofia orientale invita a unire per guarire. Laozi diceva: “Il saggio non divide, ma unisce i cuori”. E Confucio aggiungeva: “L’armonia è il bene supremo della comunità”.

In termini psicoenergetici, la malattia è “divide et impera” incarnato nel corpo: rottura del dialogo, perdita dell’unità. La guarigione non è quindi che la restituzione dell’insieme.

Il buddhismo insegna che la dualità è illusione. La divisione nasce dalla mente, non dalla realtà. Nagarjuna scriveva: “Là dove vediamo separazione, vi è solo vacuità”.

In India, il concetto di advaita (non-dualità) sottolinea che il mondo non è scisso, ma uno. Gandhi lo aveva espresso con limpidezza politica: “La nonviolenza non è un vestito da indossare o togliere a piacere, è il respiro della nostra vita”.

In Giappone, il pensiero zen sottolinea che l’unità non si conquista, ma si riconosce. Bashō lo riassume in un haiku: “Il vecchio stagno – una rana si tuffa – il suono dell’acqua”.

Il motto “divide et impera” ha attraversato i secoli come chiave di dominio. È presente nella filosofia, nella politica, nella psicologia e nell’economia. Ma le filosofie orientali e la MTC ci ricordano che l’unità è la vera forza, che l’armonia è medicina, e che il dominio basato sulla divisione è fragile perché costruito sulla paura.

Tolstoj scriveva: “Tutti vogliono cambiare il mondo, ma pochi vogliono cambiare se stessi”.

E forse il compito più urgente non è opporsi alle divisioni dall’esterno, ma guarire le fratture dentro di noi, affinché non siano più strumenti di dominio, ma vie verso una nuova armonia.

La sfida che ci attende non è solo intellettuale, ma esistenziale: imparare a riconoscere le strategie di frammentazione che ci vengono imposte, resistere alle logiche di separazione e coltivare spazi di dialogo autentico. Ognuno di noi, nel proprio quotidiano, può praticare un atto di unità: ricucire, riconciliare, ascoltare.

Solo così, trasformando il motto “divide et impera” in “connetti e risuona”, sarà possibile creare comunità più forti e individui più liberi.

Come? Partendo da noi stessi

 

Bibliografia

  • Arendt, H. (2021). Le origini del totalitarismo. Milano: Feltrinelli.
  • Confucio (2020). Dialoghi. Milano: Mondadori.
  • Dostoevskij, F. (2022). I demoni. Milano: BUR.
  • Freud, S. (2020). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Torino: Bollati Boringhieri.
  • Gandhi, M. K. (2021). Teoria e pratica della nonviolenza. Roma: Newton Compton.
  • Hobbes, T. (2021). Leviatano. Roma: Carocci.
  • Huangdi Neijing (2020). Il classico di medicina interna dell’Imperatore Giallo. Milano: Mimesis.
  • Laozi (2021). Tao Te Ching. Torino: Einaudi.
  • Machiavelli, N. (2022). Il Principe. Milano: Garzanti.
  • Nagarjuna (2021). Fondamenti della via di mezzo. Roma: Astrolabio.
  • Nietzsche, F. (2021). Al di là del bene e del male. Milano: Adelphi.
  • Orwell, G. (2021). 1984. Milano: Mondadori.
  • Pascal, B. (2020). Pensieri. Milano: Garzanti.
  • Platone (2021). Fedro. Torino: Einaudi.
  • Shakespeare, W. (2022). Otello. Milano: BUR.
  • Tolstoj, L. (2021). Confessioni e altri scritti religiosi. Milano: Feltrinelli.