venerdì 7 novembre 2025

Curare senza cuore? L’intelligenza artificiale e la crisi della medicina umana

 



 

Immaginate un corridoio asettico, luci fredde, nessun camice bianco. Una voce sintetica vi accoglie:

“Benvenuto. Il Dottor 42 è pronto ad ascoltarla.”

È accaduto davvero. In Cina ha aperto il primo ospedale interamente gestito dall’intelligenza artificiale: quarantadue “medici” virtuali, oltre tremila pazienti al giorno, un tasso di errore dello 0,93%.

La notizia corre veloce sulla rete queste alcune della fonti: 

In Cina il primo ospedale guidato dall’AI – Popular Science

In Cina il primo ospedale al mondo completamente gestito da intelligenze artificiali


Siti medici, scientifici e non solo fanno nascere perplessità, domande e aprono giustamente un dibattito.

Per molti, lo so, èil  trionfo dell’efficienza, certo, ma la domanda che inquieta non è quanto sbaglino, è che cosa perdiamo quando a curarci non è più un essere umano.

Ci fideremmo di raccontare un dolore, una paura, un dubbio a un algoritmo? Ci affideremmo a una macchina che ci guarda senza vederci, ci ascolta senza sentire, ci cura senza sapere cosa significhi soffrire?

La medicina moderna è attratta dal mito della precisione: “Più dati, meno errori” – questa è già una realtà consolidata in ogni struttura sanitaria.

Già Albert Einstein ammoniva:

“Non tutto ciò che può essere contato conta, e non tutto ciò che conta può essere contato.”

La macchina sa contare, ma non sa comprendere.
Come scriveva Martin Heidegger, «la scienza non pensa»; essa calcola, misura, ma non si interroga sul senso.

L’intelligenza artificiale può analizzare milioni di dati clinici, ma non può cogliere il silenzio di chi soffre.
Il rischio è che l’efficienza diventi idolatria.

Hannah Arendt lo aveva previsto: “Il pericolo è che l’uomo diventi superfluo.”

Quando deleghiamo la cura alla macchina, rischiamo di rendere inutile proprio ciò che ci rende umani: l’empatia, la compassione, la presenza.

La grande tradizione ippocratica non ha mai ridotto la medicina a una scienza del corpo.

Ippocrate scriveva: “Là dove si ama l’arte della medicina, si ama anche l’umanità.”

E secoli dopo, William Osler – fondatore della medicina moderna – ricordava: “Il buon medico cura la malattia; il grande medico cura il paziente che ha la malattia.”

Entrambe le frasi ci ricordano che la medicina non è solo trattamento, ma relazione.

Curare non significa solo “intervenire su un corpo”, ma “stare accanto a una persona”.

Carl Gustav Jung sottolineava: “Conoscere tutte le teorie, padroneggiare tutte le tecniche, ma toccare un’anima umana è un’altra cosa.”

L’algoritmo può processare teorie e tecniche, ma non può toccare un’anima e questo fa la differenza tra guarire e curare.

Il rapporto medico-paziente è fondato sulla fiducia, un atto di vulnerabilità reciproca. Paul Ricoeur la definiva «un dono di sé che si espone al rischio della delusione».

Una macchina può essere precisa, ma non può essere affidabile in senso umano, perché non può rischiare nulla.

Come scrive Emmanuel Lévinas: “Essere responsabile significa rispondere di un altro, anche della sua responsabilità.”

La macchina non risponde. E quando sbaglia, non prova rimorso. Noi sì.

La medicina è anche una etica della presenza, un luogo dove chi cura e chi è curato condividono la stessa fragilità.

Come scriveva Viktor Frankl, psichiatra sopravvissuto ai campi di concentramento: “Il medico non deve solo chiedersi che cosa manca al corpo, ma che cosa manca alla vita del paziente.”

Un algoritmo può rilevare una carenza di ferro, ma non una carenza di senso.

Nella prospettiva pedagogica, la cura è un processo trasformativo. Il grande educatore Paulo Freire scriveva: “Nessuno educa nessuno, nessuno si educa da solo, gli uomini si educano insieme, con la mediazione del mondo.”

La stessa logica vale per la medicina: nessuno guarisce da solo, e nessuno guarisce qualcun altro senza entrare in relazione. L’intelligenza artificiale non entra “insieme” a noi nel processo: osserva, calcola, ma resta fuori dal campo dell’esperienza.

Edgar Morin, riflettendo sulla complessità, affermava: “Conoscere non è solo accumulare dati, ma comprendere i legami che uniscono.”

Il legame – ciò che unisce medico e paziente – è l’elemento che nessun algoritmo può simulare.

Nelle tradizioni orientali, la guarigione è sempre stata un atto che coinvolge corpo, mente e spirito.

Nel Tao Te Ching, Lao Tzu scrive: “Chi conosce gli altri è sapiente; chi conosce sé stesso è illuminato.”

E nel Sutra del Loto si legge: “Curare è risvegliare la mente alla compassione.”

La medicina artificiale, invece, conosce tutti i dati, ma non conosce sé stessa. È priva di coscienza, e dunque di compassione.

Il maestro zen Thích Nhất Hạnh insegnava: “Mantenere il corpo in salute è un atto di gratitudine verso l’intero universo: gli alberi, le nuvole, tutto.”

La salute, allora, non è solo un equilibrio biochimico, ma un atto di consapevolezza e interconnessione.

Un sistema automatizzato non può provare gratitudine, né riconoscere la sacralità dell’esistenza.

Lo ricorda il poeta sufi Rumi: “La ferita è il luogo in cui la luce entra in te.” La macchina ripara la ferita, ma non lascia entrare la luce.

Eppure, proprio in Cina – terra dove affonda le radici una delle più antiche e sagge tradizioni di guarigione è nato il primo ospedale governato da algoritmi. Questo apre un dubbio ancora più profondo, quasi paradossale. Ricordo di come i medici cinesi facessero ancora praticare taichi e qigong durante la sarscovid 19...

Come può una cultura che ha insegnato al mondo che “l’uomo e il Cielo sono un’unica cosa” affidarsi a una medicina che non conosce né Cielo né uomo?

Nella Medicina Tradizionale Cinese (MTC), il corpo non è mai separato dallo spirito.

Il Huangdi Neijing, il Classico di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo, afferma: “Il medico superiore cura lo spirito; il medico medio cura l’energia; il medico inferiore cura il corpo.”

Se questa saggezza antica riconosce che la guarigione nasce dall’armonia interiore e dall’equilibrio del Qi, allora la domanda diventa inevitabile: un’intelligenza artificiale, per quanto perfetta, può davvero curare lo spirito?

La MTC insegna che la malattia è una disarmonia tra Yin e Yang, tra interno ed esterno, tra emozione e corpo. Essa non cerca di sopprimere il sintomo, ma di ricomporre l’equilibrio.

Il medico, Sun Si Miao – considerato il “re della medicina cinese” – diceva “si deve prima di tutto coltivare la virtù della compassione.”

Una macchina non può coltivare nulla, perché non ha un centro da cui la virtù possa germogliare.

E qui nasce il dubbio che dà comunque senso a questa riflessione: forse proprio dove la saggezza antica più ha compreso la totalità dell’uomo, oggi la tecnologia mette alla prova il confine stesso dell’umano.

È un passaggio epocale: dalla medicina del Tao alla medicina dell’algoritmo?

La domanda rimane sospesa: possiamo ancora parlare di cura quando manca il Cuore del Cielo?

Ciò che è in gioco non è solo l’etica, ma l’ontologia della cura.

Che cosa significa allora essere curati?

Hans-Georg Gadamer, nel suo saggio Il mistero della salute, affermava: “La salute non è qualcosa che si possiede, ma un modo di essere nel mondo.”

La medicina algoritmica riduce la salute a una serie di parametri, ma la salute è anche armonia, dialogo interiore, equilibrio relazionale.

Il medico – come il pedagogo o il terapeuta olistico – non aggiusta un ingranaggio, ma accompagna un processo di reintegrazione.

Confucio scriveva: “Colui che vuole governare bene deve prima governare sé stesso; così anche colui che vuole guarire deve prima conoscere il proprio cuore.” Un medico senza cuore, dunque, è un ossimoro. La tecnica può sostituire la mano, ma non il cuore.

Il progresso non è il nemico.

L’intelligenza artificiale può diventare uno strumento straordinario di supporto, diagnosi, prevenzione, ma solo se resta strumento, non soggetto.

Romano Guardini ricordava: “L’uomo è chiamato non a dominare la tecnica, ma a governarla nel rispetto dell’essere.” Il futuro della medicina non è l’esclusione dell’umano, ma la sua integrazione consapevole con la tecnologia.

L’AI può migliorare la precisione, ma solo l’uomo può dare significato alla cura.

E come scriveva Viktor Frankl: “Chi ha un perché per vivere può sopportare quasi ogni come.” La macchina sa il “come”, ma non conosce il “perché”.

Forse la domanda più profonda non è “quanto l’AI sbaglia”, ma “che cosa siamo disposti a perdere per un decimale di precisione in più”.

Emily Dickinson scriveva: “Un cuore è più grande di qualsiasi teoria.”

E il maestro zen Dōgen affermava: “Studiare la via è studiare sé stessi. Studiare sé stessi è dimenticare sé stessi. Dimenticare sé stessi è essere illuminati dalle diecimila cose.”

La macchina studia tutto, ma non sé stessa. Il medico umano, invece, sa di poter sbagliare, e proprio per questo può essere compassionevole.

È nella fragilità condivisa che nasce la vera cura. Perché, in fondo, la medicina non è solo guarigione. È presenza che accompagna, sguardo che vede, cuore che sente.

E un medico senza cuore – per quanto infallibile – non guarisce, aggiusta. Ma non libera.

cosa ne pensate?

 

Bibliografia essenziale

  1. Ippocrate, Aforismi.
  2. William Osler, Aequanimitas and Other Addresses.
  3. Carl Gustav Jung, Psicologia e alchimia.
  4. Viktor Frankl, L’uomo in cerca di senso.
  5. Hannah Arendt, Vita activa.
  6. Martin Heidegger, Che cosa significa pensare?
  7. Paul Ricoeur, Sé come un altro.
  8. Emmanuel Lévinas, Totalità e infinito.
  9. Paulo Freire, Pedagogia degli oppressi.
  10. Edgar Morin, La testa ben fatta.
  11. Hans-Georg Gadamer, Il mistero della salute.
  12. Romano Guardini, Lettere dal lago di Como.
  13. Albert Einstein, Scritti e pensieri.
  14. Lao Tzu, Tao Te Ching.
  15. Sutra del Loto (tradizione Mahāyāna).
  16. Thích Nhất Hạnh, La pace è ogni passo.
  17. Jalāl al-Dīn Rumi, Mathnawī.
  18. Confucio, Dialoghi.
  19. Dōgen, Shōbōgenzō.
  20. Emily Dickinson, Poesie complete.
  21. Huangdi Neijing (Classico di Medicina Interna dell’Imperatore Giallo).
  22. Sun Si Miao, Prescrizioni di mille ori per le emergenze.

 

 

4 commenti:

Anonimo ha detto...

Infondo è questa la più grande sfida che dobbiamo affrontare.

Anonimo ha detto...

Condivido il pensiero di Hannah Arend " il pericolo e' che l' uomo diventi superfluo"

Paolo G. Bianchi Terapie Olistiche e Bionaturali ha detto...

l'uomo al centro.... sempre

Anonimo ha detto...

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