“Ci sono pittori che dipingono il sole come una macchia gialla, ma ce ne sono altri che, grazie alla loro arte e intelligenza, trasformano una macchia gialla nel sole” (Pablo Picasso)
Alcune persone di fronte alle opere d’arte vengono colpite da malesseri diffusi.
Tensioni fisiche ed emotive, ansia, tachicardia, attacchi di panico, tachicardia e nei casi più complessi vertigini, confusione mentale e allucinazioni.
La prima a studiare questa sindrome è stata la psichiatra Graziella Margherini nel suo testo “La Sindrome di Stendhal. Il malessere del viaggiatore di fronte alla grandezza dell’arte”.
Viene definita così perché durante una visita alla basilica di Santa Croce a Firenze nel 1817 Stendhal provò tutti questi stati e li descrisse minuziosamente.
In psichiatria si riconduce questa sindrome al funzionamento dei neuroni specchio, base di molti
dei fenomeni legati all’empatia: l’osservatore insomma si identifica con
l’opera che sta osservando.
Sempre gli psichiatri delineano che normalmente la Sindrome di Stendhal non “provoca recidive, non segue traumi psicologici né malattie fisiche e non genera conseguenze”.
Questa la sindrome, ma io voglio parlarvi dell’opposto.
I musei e i teatri sono chiusi, le restrizioni aumentano giornalmente e le persone stanno perdendo sempre più la possibilità di confrontarsi con il bello e purtroppo ne stiamo perdendo il senso.
Cosa fare? Gli strumenti informatici e i siti di ville, musei virtuali ecc. stanno funzionando: cerchiamo di usarli, così come documentari naturalistici e artistici. Non sono la stessa cosa ma nel panorama di dati e problemi possono ricordarci il senso del bello dell'arte e della natura anche in mezzo a una pandemia.
In un momento di tristezza e chiusura il bello eleva, sostiene l’animo e lo spirito e questo, senza dubbio, aiuta a mantenere alte le nostre difese immunitarie.
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