Costano poco, sono facili da
realizzare, e creano un effetto “produttività”,
ma a quanto pare non è così.
Sto parlando degli uffici open space, sempre più di moda negli ambiti aziendali.
Un tempo gli immensi stanzoni divisi in
cubicoli erano solo un’immagine nei film americani: avere l’ufficio personale era
solo per pochi anche se questi godevano di vista mozzafiato sul cuore di New
York.
In seguito questa organizzazione degli spazi lavorativi è sbarcata anche in
Italia dove, fino a pochi anni fa era ancora un vero e proprio
status symbol, avere un ufficio non in condivisione, ma con tanto di porta
chiusa provvista di targhetta con nome e titolo.
A quanto pare, da come le cose
vengono descritte da Elena Meli nel suo articolo su Corriere Salute a seguito di una ricerca svolta dal Berkeley's Center for the Built Environment gli open space rivelano più pecche
che aspetti positivi.
Se da una parte c’è chi sostiene che favoriscano la
socializzazione e la divulgazione di idee, gli opem space si sono verificati, alla prova dei
fatti, scomodi, rumorosi, poco produttivi e dannosi per gli utilizzatori.
L’Istituto Finlandese di
Medicina del Lavoro ha anche dimostrato che proprio il rumore negli open space rende le persone meno attente richiedendo sforzo cognitivo con conseguente spreco di
energie per mantenere concentrazione e attenzione.
Lo stress è sempre in agguato e
molti combattono questi “disturbi” munendosi di cuffiette e strumenti
d’isolamento: il risultato? Anziché socializzare ci si chiude in se stessi
divenendo automi e badando solo ai propri compiti.
Rendere i luoghi di lavoro più favorevoli
non solo è un dovere, ma è anche uno dei modi migliori che è il modo migliore
per aiutare le persone ad amare di più ciò che fanno.