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"Un uomo/donna durante il suo cammino rimane intrappolato in un labirinto, da cui prova in tutti i modi ad uscire, ma anziché riuscirci rimane ancora più bloccato.
Per farlo, quindi, chiede aiuto ad un professionista di labirinti, affinché lo possa liberare immediatamente.
Il professionista accorre e anche lui vorrebbe farlo uscire prima possibile, ma sa benissimo che necessita di tempo e soprattutto, essendo all'esterno del labirinto, non potrà aiutarlo con le sue risorse, ma con quelle dell'uomo intrappolato.
Il professionista condivide questa idea con lui/lei, rimanendo presente e accogliendo il suo grido con ascolto autentico.
Iniziano insieme a vedere il labirinto da un'altra prospettiva, come qualcosa che accade agli umani in cammino e che non dipende esclusivamente da essi.
...E mentre iniziano a cercare la strada per uscire, con risorse dell'uomo/donna, il labirinto comincia a trasformarsi in ciò che è, un tempo e uno spazio in cui esserci, anche se doloroso, e da cui "non dover uscire immediatamente" ma da "attraversare", come tutti i vissuti.
È così che trasformiamo la ricerca di vie d'uscita in vie d'accesso alla propria vita."
(DAL WEB)
La metafora usata da questo professionista (presumo sia uno psicoterapeuta) è portentosa. Qualsiasi percorso di miglioramento, sia esso terapeutico in senso classico o "non convenzionale" richiede infatti tempo, dedizione e soprattutto tanta disponibilità a "perdersi" e "lasciarsi ritrovare da se stessi".
Abbiamo dentro una miniera di emozioni represse, un mondo di sottintesi e tanti preconcetti accumulati in una vita che per fare ordine serve proprio "perdersi".
La realtà è che il labirinto non è la terapia che si intraprende, ma siamo noi stessi chiusi nelle nostre zone di agio che non vogliamo lasciare per paura di scoprire la realtà che esiste al di fuori.
E fuori c'è un mondo nuovo tutto da scoprire, dove essere liberi dai condizionamenti e dalle paure.

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