giovedì 5 giugno 2025

Resilienza o resistenza? la parola alla MTC

 


Resilienza o resistenza? Il vuoto di una parola abusata e la saggezza silente della Medicina Cinese

 “Le parole sono pallottole caricate” — Jean-Paul Sartre


C’è una parola che oggi domina il linguaggio politico, scolastico, giornalistico e aziendale, penetrando come una nebbia sottile anche nel linguaggio terapeutico e formativo: resilienza.


Da concetto scientifico a etichetta etica, da indicatore psicologico a imperativo sociale, la resilienza è divenuta il mantra di un’epoca confusa, affaticata e bisognosa di senso.


Come tutte le parole abusate, ha perso densità. Anzi, si è fatta guscio vuoto.


Come ricordava George Orwell nel saggio Politics and the English Language (1946), "il linguaggio politico è progettato per rendere le bugie veritiere e il delitto rispettabile".


L’uso compulsivo di “resilienza” serve a demandare al soggetto il compito di reggere l’insostenibile, di sopportare il disagio sistemico trasformandolo in virtù personale. Ma siamo davvero chiamati a “rimbalzare” indietro da ogni urto?


In origine, “resilienza” era un termine tecnico: in fisica dei materiali, essa indica la capacità di un corpo — ad esempio un metallo — di assorbire un urto e ritornare alla sua forma originale senza spezzarsi. È una misura dell’energia elastica accumulata prima della frattura.


Nessuna intenzionalità, nessun vissuto: solo una proprietà meccanica.


Traslata in psicologia, la resilienza è divenuta la capacità dell’essere umano di affrontare e superare eventi traumatici, adattandosi positivamente.


È stata studiata nelle vittime di guerre, catastrofi, abusi, e identificata con la possibilità di ricostruire il senso dopo l’esperienza del dolore (Cyrulnik, 2020).


Tuttavia, quando questa qualità viene normata — o peggio, imposta — come obbligo sociale, perde il suo valore terapeutico e diventa strumento di colpevolizzazione: "se non ti rialzi, è colpa tua."


Come nota Han in La società della stanchezza (2020), viviamo in un’epoca in cui il soggetto non ha più nemici esterni, ma è costretto a diventare il proprio carnefice attraverso ideali di prestazione, efficienza e “adattabilità”.


In questo contesto, la resilienza diventa il volto sorridente della rassegnazione.


Nella Medicina Tradizionale Cinese, la capacità di adattarsi e trasformarsi non è ridotta a una funzione. È piuttosto un movimento energetico, simbolizzato dall’elemento Legno e dall’organo Fegato, che governa la crescita, la pianificazione e l’espansione.


Emblema perfetto è il bambù, pianta che affonda le sue radici nella cultura orientale:

“Il bambù si piega sotto la neve ma non si spezza. Quando la neve si scioglie, il bambù si rialza.”

Il bambù incarna la vera forza secondo la saggezza taoista: flessibilità dinamica, capacità di assecondare il vento senza opporsi, ma anche di ritornare dritto quando il vento è passato. Non c’è “ritorno alla forma originale”, come in fisica.


C’è trasformazione continua, coerenza nel mutamento.


Il Fegato, secondo il Neijing, è il “generale dell’esercito” perché pianifica, distribuisce l’energia vitale (Qi) e consente all’essere umano di mantenere direzione, anche in mezzo al caos. Non ha bisogno di resistere: orienta.


Come scrive Elisabeth Rochat de la Vallée:

“Il fegato è colui che permette all’uomo di dispiegare la propria visione. Non resiste agli urti, li attraversa.”

 

Resilienza o stagnazione? Quando l’adattamento diventa stasi

Il problema non è la resilienza in sé, ma il suo uso fuori contesto, trasformata in una parola d’ordine che neutralizza il dissenso. Nella retorica politica e manageriale, essere resilienti significa accettare ogni shock — sociale, sanitario, economico — e tornare al lavoro il giorno dopo.


Per la Medicina Cinese, la malattia nasce quando l’energia ristagna, quando il soggetto non si muove, non si espande, non cambia direzione. Il trauma non è qualcosa da ignorare o “superare” meccanicamente: è un segnale, un momento di rottura necessario per riorientare il cammino.


Nel pensiero taoista, il cambiamento è intrinseco alla vita: nulla permane. La vera saggezza non è nel resistere, ma nel trasformarsi.


Nella narrativa contemporanea, resilienza è divenuta parola vuota, slogan ripetuto come un mantra corporativo, ma il linguaggio ha potere: può curare o ferire, può svelare o mascherare.


T. S. Eliot scriveva:

“Dov'è la vita che abbiamo perduto vivendo?
Dov'è la saggezza che abbiamo perduto nella conoscenza?
Dov'è la conoscenza che abbiamo perduto nell'informazione?”

(Choruses from The Rock, 1934)


Allo stesso modo potremmo chiederci:

Dov’è la guarigione che abbiamo perduto nella resilienza?


La terapia olistica, come si pratica in medicina cinese e nelle discipline complementari, non chiede al paziente di essere resiliente. Lo invita a ritrovare il proprio ritmo, il proprio “soffio” (qi), la propria stagione interiore.


Strumenti come la riflessologia plantare, la biorisonanza, la fitoterapia cinese, la moxibustione, o i campi elettromagnetici pulsati non rendono “forti” nel senso occidentale del termine. Riallineano. Rimuovono blocchi. Restituiscono al corpo il suo movimento vitale.


Nel Neijing si legge:

“Quando il Qi scorre liberamente, non c’è malattia. Quando ristagna, si genera dolore.”


Non resilienza, ma flusso. Non sopportazione, ma circolazione. Non ritorno al prima, ma evoluzione verso il dopo.


L’abuso della parola “resilienza” riflette un paradigma che pretende dagli individui ciò che le strutture non garantiscono: sostegno, stabilità, senso.


La Medicina Tradizionale Cinese offre un’altra via: non resistere, ma piegarsi come il bambù, non tornare indietro, ma seguire il Dao.


Bisogna disinnescare le parole che giustificano l’ingiustificabile, e riscoprire un linguaggio che parte dal corpo e dal respiro. In questo, la medicina orientale ha molto da insegnare: perché là dove la parola è abuso, il silenzio e l’ascolto diventano terapia.

 

Bibliografia (post 2020)

  • Byung-Chul Han, La società della stanchezza, Nottetempo, 2020
  • Boris Cyrulnik, Resilienza. Crescere dopo un trauma, Raffaello Cortina, 2020
  • Elisabeth Rochat de la Vallée, Le emozioni e gli organi nella medicina cinese, Jaca Book, 2021
  • Francesco S. Tassi, La resilienza come meccanismo adattivo nelle crisi: una lettura interdisciplinare, FrancoAngeli, 2022
  • Fan Zhang et al., Integration of Traditional Chinese Medicine and Western Medicine in the Era of Precision Medicine: An Evidence-Based Review, Frontiers in Pharmacology, 2021
  • Zhang, Qi, et al. The role of Liver in Traditional Chinese Medicine: a literature review, Chinese Medicine, 2021
  • Qiao, Yu et al., Bamboo as a Symbol of Resilience in Chinese Culture: a Botanical and Philosophical Review, Journal of Asian Cultural Studies, 2022
  • Han, Mei-Ling et al., The role of Qi stagnation in stress-related disorders: a Traditional Chinese Medicine perspective, Complementary Therapies in Medicine, 2023
  • Orwell, George, Politics and the English Language, 1946 (ripubblicato in diverse edizioni post-2020)

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