“Divide et impera”: il motto latino, di probabile origine macchiavellica ma già presente nel pensiero di Polibio e di Giustino, ha attraversato i secoli come regola non scritta del potere.
La sua essenza è
semplice e crudele: dividere per governare. Il conflitto, creato ad arte,
diventa strumento di controllo, mentre l’unità, che potrebbe rovesciare i
rapporti di forza, viene sistematicamente incrinata.
Hannah Arendt ricordava: “Il dominio totale non mira
soltanto a governare, ma a impedire che uomini diversi convivano e cooperino”.
Platone, nel Fedro, mette in guardia dai discorsi capaci di sedurre e dividere la polis.
Machiavelli, ne Il Principe, ne esplicita la forza: mantenere i popoli in contrasto tra loro è strategia di sicurezza per chi governa. Shakespeare, nell’Otello, ci mostra come la manipolazione dei sentimenti divisi dall’astuzia di Jago distrugga la coesione e conduca alla rovina.
Goethe ammoniva: “Là dove si dividono le opinioni, nasce
lo spazio per il potere”.
La letteratura ci insegna che le divisioni, se coltivate, diventano armi.
Dostoevskij scriveva: “L’uomo a volte preferisce il dolore
alla libertà”, e proprio su questo paradosso si fonda la logica della
frammentazione.
In psicologia sociale, il principio si declina come “ingroup vs outgroup bias”: la tendenza a sentirsi parte di un gruppo, distinguendosi e opponendosi ad altri. Tajfel lo mostrò chiaramente: basta un minimo criterio arbitrario per creare ostilità.
Freud, in Psicologia delle masse, osservava: “La
coesione interna di un gruppo cresce nella misura in cui cresce l’ostilità
verso un nemico esterno”.
È qui che si comprende la profondità del motto latino: non solo frammentare, ma incatenare.
Come scrisse Pascal: “Tutti gli uomini
cercano la felicità, anche coloro che si impiccano”. La manipolazione delle
masse parte da questo bisogno, per condurlo contro se stesso.
L’economia neoliberista si alimenta della competizione: lavoratori contrapposti, cittadini trasformati in consumatori antagonisti. In politica, il consenso si conquista con la polarizzazione: la semplificazione manichea “noi contro loro” diventa più efficace di ogni discorso di unità.
Nietzsche ammoniva: “Chi combatte i mostri deve fare
attenzione a non diventare lui stesso un mostro”.
Le masse divise sono docili perché stanche. La
conflittualità continua impedisce la nascita di un progetto comune. È la logica
della “guerra di tutti contro tutti” che Hobbes descriveva: “Homo homini
lupus”.
E Orwell, in un secolo più vicino al nostro, ricordava in 1984:
“Se vuoi un’immagine del futuro, immagina uno stivale che calpesta un volto
umano – per sempre”.
La Medicina Tradizionale Cinese (MTC) si fonda sul principio opposto: l’armonia tra opposti. Yin e Yang non sono nemici, ma poli complementari. Dove il potere occidentale ha visto conflitto, la MTC ha letto relazione.
Il Neijing afferma: “Il medico che non conosce
l’armonia di Yin e Yang non può curare le malattie”.
Laddove la politica spezza per controllare, la filosofia
orientale invita a unire per guarire. Laozi diceva: “Il saggio non divide,
ma unisce i cuori”. E Confucio aggiungeva: “L’armonia è il bene supremo
della comunità”.
In termini psicoenergetici, la malattia è “divide et impera”
incarnato nel corpo: rottura del dialogo, perdita dell’unità. La guarigione non
è quindi che la restituzione dell’insieme.
Il buddhismo insegna che la dualità è illusione. La divisione nasce dalla mente, non dalla realtà. Nagarjuna scriveva: “Là dove vediamo separazione, vi è solo vacuità”.
In India, il concetto di advaita (non-dualità)
sottolinea che il mondo non è scisso, ma uno. Gandhi lo aveva espresso con
limpidezza politica: “La nonviolenza non è un vestito da indossare o
togliere a piacere, è il respiro della nostra vita”.
In Giappone, il pensiero zen sottolinea che l’unità non si
conquista, ma si riconosce. Bashō lo riassume in un haiku: “Il vecchio
stagno – una rana si tuffa – il suono dell’acqua”.
Il motto “divide et impera” ha attraversato i secoli come chiave di dominio. È presente nella filosofia, nella politica, nella psicologia e nell’economia. Ma le filosofie orientali e la MTC ci ricordano che l’unità è la vera forza, che l’armonia è medicina, e che il dominio basato sulla divisione è fragile perché costruito sulla paura.
Tolstoj scriveva: “Tutti vogliono cambiare il mondo, ma
pochi vogliono cambiare se stessi”.
E forse il compito più urgente non è opporsi alle divisioni
dall’esterno, ma guarire le fratture dentro di noi, affinché non siano più
strumenti di dominio, ma vie verso una nuova armonia.
La sfida che ci attende non è solo intellettuale, ma esistenziale: imparare a riconoscere le strategie di frammentazione che ci vengono imposte, resistere alle logiche di separazione e coltivare spazi di dialogo autentico. Ognuno di noi, nel proprio quotidiano, può praticare un atto di unità: ricucire, riconciliare, ascoltare.
Solo così, trasformando il motto “divide et impera” in “connetti e risuona”,
sarà possibile creare comunità più forti e individui più liberi.
Come? Partendo da noi stessi
Bibliografia
- Arendt,
H. (2021). Le origini del totalitarismo. Milano: Feltrinelli.
- Confucio
(2020). Dialoghi. Milano: Mondadori.
- Dostoevskij,
F. (2022). I demoni. Milano: BUR.
- Freud,
S. (2020). Psicologia delle masse e analisi dell’Io. Torino:
Bollati Boringhieri.
- Gandhi,
M. K. (2021). Teoria e pratica della nonviolenza. Roma: Newton
Compton.
- Hobbes,
T. (2021). Leviatano. Roma: Carocci.
- Huangdi
Neijing (2020). Il classico di medicina interna dell’Imperatore Giallo.
Milano: Mimesis.
- Laozi
(2021). Tao Te Ching. Torino: Einaudi.
- Machiavelli,
N. (2022). Il Principe. Milano: Garzanti.
- Nagarjuna
(2021). Fondamenti della via di mezzo. Roma: Astrolabio.
- Nietzsche,
F. (2021). Al di là del bene e del male. Milano: Adelphi.
- Orwell,
G. (2021). 1984. Milano: Mondadori.
- Pascal,
B. (2020). Pensieri. Milano: Garzanti.
- Platone
(2021). Fedro. Torino: Einaudi.
- Shakespeare,
W. (2022). Otello. Milano: BUR.
- Tolstoj,
L. (2021). Confessioni e altri scritti religiosi. Milano:
Feltrinelli.

Nessun commento:
Posta un commento