domenica 11 maggio 2025

Unire i mondi: perché accosto la letteratura occidentale e i fatti della vita alla Medicina Tradizionale Cinese

 



No, la mia non è una mania e nemmeno un voler imporre legami che non esistono.

La MTC è la mia vita e per questo credo di doverla divulgare in ogni modo per renderla sempre più concreta e fruibile.

Comunque…

Nel Fedro di Platone, Socrate afferma che "ogni parola ha un’anima". Ed è forse per questo che quando ci imbattiamo in un testo antico, anche se scritto in un contesto culturale lontano, possiamo sentirne vibrare l’eco dentro di noi.

In questo dialogo invisibile tra mondi, la Medicina Tradizionale Cinese (MTC) e la letteratura occidentale si riconoscono. È proprio in queste corrispondenze sottili che intravedo un campo fertile: un terreno dove il pensiero si espande, dove la clinica si nutre di simboli, e dove la cura diventa un gesto poetico e universale.

Viviamo in un’epoca in cui la frammentazione della conoscenza ha prodotto specializzazioni sempre più verticali. Eppure, il sapere non è un edificio fatto di compartimenti stagni, ma un organismo vivo, che respira e si trasforma.

La MTC, con la sua visione sistemica, olistica e archetipica, offre chiavi di lettura che superano la dicotomia corpo-mente, tempo-spazio, soggetto-oggetto. Allo stesso modo, la grande letteratura occidentale, dai presocratici a Dante, da Shakespeare a Rilke, scava nell’essere umano come farebbe un terapista olistico di MTC: cercando punti di disarmonia, nominandoli, trasmutandoli.

Accostare questi due mondi non è un vezzo erudito, ma una necessità epistemologica. Le immagini poetiche di un testo classico possono illuminare un principio della MTC meglio di qualsiasi trattato tecnico.

Allo stesso modo, la saggezza taoista o la teoria dei Cinque Movimenti trovano sorprendenti rispondenze nei miti greci, nella tragedia classica, nelle allegorie medievali. La verità, si sa, non parla un solo linguaggio.

La Medicina Tradizionale Cinese associa il fegato all’emozione della collera, al legno, alla primavera, al movimento, all'impulso vitale che può divenire distruttivo se represso o non incanalato.

Pensiamo ad Achille, l’eroe dell’Iliade. La sua ira, che “portò lutti agli Achei”, non è altro che un’energia del legno squilibrata, trattenuta troppo a lungo, poi esplosa in modo devastante. In questo mito si cela un’intera lezione di medicina energetica: il dolore trattenuto si trasforma in fuoco, la giustizia in vendetta, la potenza in malattia.

Il simbolo, in quanto canale tra il visibile e l’invisibile, è quindi uno strumento terapeutico.

Jung lo aveva compreso, ma lo aveva già intuito Confucio quando sosteneva che "la rettificazione dei nomi" era la base dell’ordine e dell’armonia. Dare un nome all’emozione, collegarla a un archetipo narrativo, permette al paziente di uscire dalla prigione della cronaca personale per entrare in una narrazione più ampia, più mitica, più curativa. In questo senso, proporre a chi si cura con la MTC riferimenti letterari e simbolici non è divagazione, ma parte integrante del processo di guarigione.

Non basta curare un sintomo, bisogna restituire senso al vissuto. In questo, la MTC si rivela una medicina "poietica", capace cioè di generare significato, di creare risonanze tra interiorità e mondo, tra passato e presente, tra culture diverse. Quando in un trattamento nomino Antigone a una paziente che vive il conflitto tra legge interiore e dovere sociale, non sto facendo filosofia: sto offrendo uno specchio, uno spazio di risonanza, una via d’uscita dal nodo emozionale.

Quando in una lezione cito Paracelso accanto al Ling Shu, creo continuità tra la sapienza alchemica d’Occidente e quella energetica d’Oriente.

Credo fermamente che ogni cultura custodisca frammenti di una stessa trama. La MTC, con la sua antichissima visione sistemica, e la letteratura occidentale, con il suo linguaggio simbolico e poetico, si intrecciano per offrirci una medicina dell’essere, che non separa ma ricompone. Non si tratta di sincretismo forzato, ma di archeologia del significato. In fondo, come ci ricorda Italo Calvino nelle Lezioni americane, "la leggerezza non è superficialità, ma planare sulle cose dall’alto, non avere macigni sul cuore".

Riportare nei miei articoli, nei miei corsi, nelle mie terapie, queste corrispondenze tra parole antiche e sapienze energetiche, tra tragedia greca e meridiani, tra Shakespeare e lo Shen, è il mio modo per restituire alla cura il suo volto più umano, più poetico e più universale.



 

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