giovedì 28 febbraio 2008

mercoledì 27 febbraio 2008

Sulle spalle dei giganti

Bernardo di Chartres dice “Siamo nani sulle spalle dei giganti: la nostra ragione potrà essere tanto più potente e lungimirante quanto più ci saremo impadroniti del pensiero dei “giganti”: solo a partire dalle loro altezze, da quanto essi hanno conquistato con il loro ingegno, potremo lanciare uno sguardo su orizzonti più lontani”.

Queste parole ci insegnano a riflettere e a ricordare il grande patrimonio culturale che ereditiamo quando veniamo al mondo. Personalmente queste parole mi spingono a dare un significato al tempo della mia vita cercando, nel nostro piccolo, di diventare parte della storia. Come? Attraverso le nostre storie da “nani” in un mondo in cui sono vissuti “giganti”. Se trasferiamo ogni gesto e ogni parola con passione, dimostrando con coerenza quello che stiamo dicendo o facendo, staremo costruendo una piccola parte di storia. Se, attraverso il nostro lavoro, sapremo sentirne la responsabilità potremo dare dignità ad ogni nostro gesto e salveremo il breve tempo passato su questa terra lasciando qualcosa ai nostri posteri.

Noi formatori spesso abbiamo il compito di dare delle nozioni che le persone possano poi applicare per migliorare il loro lavoro. Solo con l’esempio potremo cambiare quelle piccole cose che permetteranno a chi partecipa ai nostri corsi di diventare dei giganti nella loro vita.

I samurai ricordano sempre gli insegnamenti dei maestri e li mettono in pratica, i monaci benedettini tramandano una cultura che, pur adeguandosi ai tempi rimane immutata da 1500 anni. Nel nostro piccolo possiamo dare un aiuto al cambiamento e guardando ai giganti impariamo da loro: anche noi diventeremo come loro attraverso le nostre azioni.

lunedì 25 febbraio 2008

MV: comunicare bene

Qui sopra vedete i titolari di MV parrucchieri di Correggio con i loro collaboratori. Lo scorso 17 febbraio abbiamo parlato di comunicazione interna ed esterna”. Questo è stato il primo di una serie di incontri che MV propone ai suoi collaboratori parallelamente alla loro preparazione tecnica per migliorare lo spirito di gruppo e aumentare l’attenzione ai bisogni della loro clientela.
Ringrazio tutti i partecipanti per gli spunti che hanno arricchito questa giornata e pubblico volentieri il loro commento al corso.

“Quanto siamo segreti dentro noi stessi… oggi qualcosa è spuntato dietro la nostra facciata, ma questo è solo l’inizio del nostro percorso. Abbiamo sviluppato le tecniche di analisi e comprensione dei caratteri per far crescere il gruppo in armonia. Grazie Paolo per cominciare ad aprire quella porta che presto sarà spalancata”.
Mariangela, Valerio, Giusy, Tetyana, Ornella, Angelica, Kirandeep

martedì 19 febbraio 2008

Mission: questa volta parliamo del film

Mentre scrivevo il post precedente mi è venuto alla mente un film del 1986 con Robert De Niro e Jeremy Irons: Mission
La trama penso sia nota a tutti: i gesuti fondano una missione in Amazzonia insegnando ai nativi l’agricoltura e alcuni lavori artigianali come la costruzione di strumenti musicali. Nel frattempo si sviluppa uno scontro politico tra Portoghesi e Spagnoli che coinvolge anche la chiesa. Accanto a temi sociali quali lo sfruttamento di schiavi e il colonialismo il problema che i gesuiti devono affrontare è: obbedire alla chiusura delle missioni abbandonando i nativi o rimanere con loro venendo meno al voto di obbedienza che avevano fatto? Le risposte sono diverse: c’è chi obbedisce, chi combatte e chi pacificamente accetta la morte.
Spesso, durante un corso, le persone si lamentano dei loro dirigenti e delle decisioni che questi prendono richiedendo accettazione e determinazione nella realizzazione delle consegne. La situazione non è molto diversa da quella del film: ognuno pensa di avere lavorato bene, e quindi perché si dovrebbero abbandonare determinati principi per soddisfare le politiche aziendali? E, come nel film, c’è chi accetta, chi combatte, chi si rassegna, chi spera di poter cambiare le cose con il proprio lavoro e chi ne cerca un altro.

Francamente non so dire qual è l’atteggiamento, la risposta più giusta. E’ forse illuminante, a questo proposito, l’ultima scena del film Mission dove un bambino indigeno, nudo, torna con pochi sopravvissuti nella foresta; mentre scappa da quel mondo che lo voleva inglobare porta con sé un violino che alcuni suoi compagni avevano costruito. Quindi non tutto va perduto, un frammento di quello che era stato, di quello che aveva vissuto era ancora da salvare, da tenere da conto.

Alla fine vince sempre quell’uomo che con le esperienze positive che ha fatto sue, sa fare fronte a tutto ricominciando da capo. Un segnale di speranza per chi non crede più nel suo lavoro: siamo sempre noi a fare la differenza, anche a fronte di qualcosa di grande che vorrebbe farci cambiare la nostra natura. Essere noi stessi, far tesoro delle esperienze affrontate è quello che distingue, anche nei sistemi più complessi; chi riesce ad arricchire comunque il suo bagaglio può essere pronto ad affrontare il nuovo che arriva.

domenica 17 febbraio 2008

La “mission”

Un tempo l’andare in missione era prerogativa di avventurosi preti e frati che volevano diffondere il Vangelo in terre lontane.
Oggi avere una missione o meglio una “mission” è fondamentale per ogni impresa. Cosa significa? Vuol dire avere degli obiettivi da raggiungere a medio e lungo termine in modo da concretizzare il sogno definito nella “vision” e di cui ho parlato nel precedente post.
Questi obiettivi non sempre sono di tipo economico, possono anche essere l’ingrandimento della struttura produttiva o la realizzazione di un piano qualitativo rivolto al cliente. Una cosa è certa: per raggiungere la mission è indispensabile la partecipazione attiva di tutti coloro che lavorano nell’impresa.

Far condividere un sogno è un compito difficile, ma fare partecipare tutti alla realizzazione di quel sogno è ancora più arduo. In questo senso la formazione è lo strumento che aiuta i collaboratori a definire i piani operativi, i ruoli e le responsabilità personali e di gruppo. Il formatore ha il dovere di conoscere bene gli obiettivi del management e di saperli trasmettere il più fedelmente possibile dando anche gli strumenti per facilitare il lavoro pratico.

Tutti diventano così “missionari” dell’impresa, ma per fare funzionare bene ogni missione i valori comuni devono essere forti, chiari e condivisi da tutti. Solo così i sogni possono diventare realtà e durare nel tempo, altrimenti sono solo una follia collettiva.

giovedì 14 febbraio 2008

Pensiero del fine settimana

Ansia e coscienza sono una potente coppia di dinamo:
insieme possono garantire che uno lavori duro,
ma non garantiscono
che si lavori a qualcosa che ne valga la pena.

Arnold J. Toynbee (1889-1975)

martedì 12 febbraio 2008

Vision personale

È un termine in cui mi imbatto spesso in azienda. Nei corsi si deve avere sempre una vision che affianca la mission.
Ma cos’ è la vision, la vision personale?

Nella vita non si può raggiungere nulla senza avere la cognizione del perché lo si fa. Per i buddisti, attraverso la pratica, si acquisisce la chiarezza del percorso da seguire. Per gli occidentali è più complesso affrontare un cammino di disciplina e costanza; quindi diventa più laborioso sapere perché stiamo facendo qualcosa.
Allora chiamiamo “vision” l’idea che ci stiamo facendo della nostra vita personale o professionale in quel preciso momento. È come se proiettassimo uno spezzone di un film di cui siamo spettatori e protagonisti, per poterlo poi realizzare nella vita quotidiana. Per questo abbiamo bisogno di un modello da seguire: se non abbiamo in mente la serie delle sequenze non potremo raggiungere i nostri obiettivi.

La formazione serve per aiutarci a creare queste sequenze di film e a farci capire quando siamo protagonisti e quando siamo solo comparse. Il ruolo del formatore deve essere quello di aiutare e guidare il nostro essere spettatori; saper guardare le cose dall’esterno aiuta infatti a valutarci meglio e a capire con maggiore apertura mentale le scelte da fare. Purtroppo i formatori tendono spesso ad assumere il ruolo di regista dirigendo la vita degli altri e i loro sogni.
Invece i formatori dovrebbero essere solo gli sceneggiatori a cui spetta il compito di descrivere minuziosamente le possibili scene di quello spezzone di film che si vorrebbe interpretare.

Nei corsi esperienziali, il formatore facilita il passaggio di nuovi concetti e idee che nascono da momenti, luoghi e situazioni diverse e che, se ben interiorizzati, permettono un cambiamento costante e duraturo.
Per questo sostengo che è necessario provare differenti situazioni perchè permettono di calibrare i nostri sogni e ci fanno capire cosa vogliamo da noi stessi in quel preciso momento. Fatto ciò possiamo cominciare a costruire la mission, ma questo e l’argomento di un prossimo post.

domenica 10 febbraio 2008

San Benedetto negli affari

Sono riuscito finalmente a leggere il libro di Q. R. Skrabec “La Regola di San Benedetto per il successo negli affari” di cui vi avevo parlato in un mio precedente post.
Ero curioso di scoprire "l'approccio americano" alla Regola e devo dire che l’ho trovato molto interessante, ricco di spunti e con molti
riferimenti sia storici che manageriali.
Tuttavia, penso che il tipico pragmatismo americano, con il voler cercare una soluzione a tutti i costi, finisca con il soffocare uno degli aspetti fondamentali della Regola: l’umanità.


Skrabec analizza la Regola più come un insieme di tecniche da adottare che come una fonte di ispirazione per trovare quelle più idonee.
Anche i tanti riferimenti ad altri modelli manageriali e di leadership sono calzanti ma, alla fine, diventano solo applicazioni di una fredda strategia. Pur condividendo i contenuti, che peraltro sono gli stessi di Abbey Programme®, non mi convincono né il metodo né la modalità di approccio: manca l’anima, la passione per l’uomo, l’invito alla riflessione.

Benedetto parlava di uomini, delle loro forze e delle loro debolezze, di uomini che dovevano essere sì governati, ma con pietà e giustizia. Ho sempre sostenuto che la Regola sia il primo manuale di management della storia e sono convinto che sia diverso dagli altri perché parla con l’anima e con il cuore prima di considerare obiettivi o budget. E sono anche convinto che i monaci riescono nei loro affari perché conoscono il valore dell’anima e del cuore.

martedì 5 febbraio 2008

Yoshoku: quando Oriente e Occidente si incontrano

Mi sono imbattuto in questa parola sfogliando un libro di cucina che, in modo intrigante, suggeriva un'interessante "fusione" tra la cucina occidentale e quella giapponese. Ne nasce un nuovo stile culinario, detto appunto “yoshoku" il cui punto di forza è la fusione tra stili, ingredienti, modi di cottura delle due diverse tradizioni culinarie.

Questo è proprio il principio ispiratore dei miei corsi Samurai Lab®, che senza essere un “risotto” o un “dolce”, contaminano la cultura dell’addestramento dei samurai con un sapore tipicamente occidentale.

Del resto, per un europeo è difficile avvicinarsi all’oriente in genere; lo dimostra il fatto che anche dallo stesso Buddismo sono nati delle correnti religiose che hanno forme e riti più vicini alla nostra cultura senza venire meno alle tradizioni antiche.

Quella dei samurai è una filosofia molto interessante, profonda, che ha molto da insegnare ai manager occidentali, ma deve essere “mediata” e immersa nel nostro mondo imprenditoriale. Mi piace quindi fare da tramite: le mie lunghe frequentazioni dei "dojo" dove pratico da tempo la via della spada giapponese e degli ambienti imprenditoriali me ne danno la possibilità.

Alla fine l'importante è saper raggiungere gli obiettivi aziendali con tutta la forza, le capacità e la determinazione dei veri samurai.

domenica 3 febbraio 2008

Solitari al centro del mondo


Una troupe televisiva della Rai diretta da Enzo Romeo entra in un monastero di clausura. Per dieci giorni i giornalisti possono vivere come i monaci e condividere con loro ogni momento del giorno. Non è un remake de “Il grande silenzio” perché questa esperienza diventata libro e DVD è del 2005, cioè precede di un anno l’uscita del film.

Penso che questo documentario, e la mia opinione è condivisa da molti che hanno partecipato ad Abbey Programme®, nella sua brevità, mostri in modo più fedele ed umano, rispetto al “Il grande silenzio” il mondo dei monaci (certosini in questo caso) tanto solitari, ma tanto al centro del mondo.

Infatti come è riportato sul retro del libro: “Le storie dei monaci emergono con discrezione, rispettando la scelta compiuta da ciascuno…il tutto tra boschi e paesaggi mozzafiato, che esaltano la fotografia dei filmati e rendono più fascinosa la narrazione”.

Lo consiglio caldamente a chi ha intenzione di partecipare ad Abbey Programme® e a chi ha già partecipato per rivivere le emozioni vissute durante il corso.