“Non c’è schiavitù più grande di quella di chi si crede
libero.”
Questa frase, che riecheggia in diverse tradizioni filosofiche, ci costringe a
riflettere: quanto di ciò che pensiamo davvero ci appartiene?
Siamo convinti di scegliere liberamente, di plasmare i nostri giudizi in autonomia, eppure la realtà svela un paesaggio più complesso: gran parte delle idee che chiamiamo “nostre” sono il frutto di suggestioni invisibili. L’educazione ricevuta, i modelli culturali, i media, le strutture economiche: tutto concorre a costruire quel mosaico interiore che chiamiamo opinione.
Come scriveva Antonio Gramsci, “ogni uomo è filosofo”, ma spesso la filosofia che pratichiamo non è che un riflesso delle ideologie dominanti.
La modernità ci ha consegnato un modello educativo che, più che coltivare spiriti critici, ha cercato di forgiare individui produttivi. Nel XX secolo, figure come John D. Rockefeller promossero un sistema scolastico funzionale al nascente capitalismo industriale: non un’educazione alla libertà, ma un addestramento all’efficienza.
Generazioni di studenti furono formate più al “fare” che al “pensare”, in un percorso che privilegiava la disciplina rispetto alla creatività. In questo senso, la scuola non fu solo un’istituzione culturale, ma un dispositivo sociale: modellava la mente come la fabbrica plasmava il corpo.
La Medicina Tradizionale Cinese (MTC) ci offre una prospettiva sorprendentemente attuale. Secondo i suoi principi, l’essere umano è un’unità inscindibile di corpo e mente, governata dallo Shen, la “mente-cuore”. Lo Shen è ciò che ci rende lucidi, vigili, capaci di discernere: è la radice della coscienza.
Quando lo Shen è in equilibrio, l’uomo riconosce le manipolazioni esterne e rimane saldo nel proprio centro. Quando invece è disturbato, diventa vulnerabile, pronto ad accogliere opinioni altrui come se fossero proprie. In questa prospettiva, il condizionamento sociale non è che un turbamento dello Shen, un disallineamento tra mente e cuore.
La MTC suggerisce che la libertà di pensiero non è mai solo un fatto intellettuale, ma anche energetico e spirituale.
Come uscire da questo labirinto invisibile?
La tradizione cinese indica alcune vie come coltivare consapevolezza attraverso meditazione, Qi Gong, respirazione (pratiche che stabilizzano lo Shen, riportandolo al suo centro), riconoscere gli squilibri (perchè come il corpo si ammala, anche la mente-cuore può infettarsi di opinioni non autentiche), ritrovare il proprio ritmo (distinguere il pensiero genuino da quello indotto significa riappropriarsi della propria libertà interiore).
In questo senso, la cura non è soltanto un atto medico, ma un gesto filosofico: un ritorno all’origine, dove il pensiero torna ad appartenere a chi lo genera.
Viviamo in un mondo che ha preferito la disciplina alla libertà, l’obbedienza alla creatività, l’efficienza al pensiero critico. Eppure, l’educazione autentica – come la cura di sé – non dovrebbe insegnare a ripetere modelli esterni, ma a nutrire il proprio Shen.
Solo allora le opinioni tornano a essere veramente nostre.
Solo allora l’uomo si riscopre libero non tanto di agire, ma soprattutto di
pensare.
Non basta leggere queste righe: occorre trasformarle in esercizio vivo.
Prova a chiederti, ogni volta che un pensiero affiora: è davvero mio o è stato suggerito?
Coltiva un minuto di silenzio al giorno per ascoltare lo Shen, lascia che il respiro diventi maestro e che il cuore torni a orientare la mente.
La libertà di pensiero non è un dono concesso dall’esterno: è una disciplina interiore da praticare.
Il primo passo spetta a te.
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bibliografia
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