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lunedì 11 dicembre 2023

LA DANZA DEL BICCHIERE D'ACQUA - PER RIFLETTERE




 "Una giovane donna della tribù si diresse verso la vecchia e le disse:

- Non parteciperò più al gruppo.

La vecchia signora rispose:
- Ma perché?
La giovane donna rispose:
- Vedo mia sorella che parla male di un'altra; un gruppetto che vive parlando e non aiuta, persone che durante la danza sembrano cercare di mostrarsi invece di guardare l'albero e tante altre cose brutte...
La vecchia signora rispose:
- Va bene, ma prima di andartene, voglio che tu mi faccia un favore: prendi un bicchiere pieno d'acqua e fai tre giri in cerchio senza versare una goccia d'acqua sul terreno. Dopo di che, puoi uscire dal gruppo.
E la giovane donna pensò: Molto facile!
E ha fatto i tre giri come le ha chiesto la vecchia signora.
Quando è finita, ha detto:
- Fatto!
E la vecchia le chiese:
- Quando stavi girando, hai visto qualche sorella parlare male di un'altra?
La risposta è stata: no
Hai visto le danzanti lamentarsi l'uno con l'altro?
- No.
Hai visto qualcuno che non stava aiutando?
- No.
- Sai perché? - Eri concentrata sul bicchiere per non buttare via l'acqua".

Lo stesso vale nella vita. Quando il nostro approccio sarà i nostri passi e la nostra evoluzione, non avremo tempo per vedere gli errori degli altri.
Chi esce da un cerchio a causa di qualcun altro, non è mai entrato a danzare, a guarire, a realizzare qualcosa per l'umanità.
Chi guarda l'altro, non è mai entrato per onorare se stesso, non è mai entrato nella propria evoluzione, non ha mai cercato il suo vero spirito, di servire la comunità.
Liberati dal pregiudizio, dall'opinione degli altri, guarda te stesso.

DAL WEB


IPHM Paolo G. Bianchi
International Practitioner of Holistic Medicine - Terapie Olistiche e Bionaturali
Lomazzo (CO) - Buttrio (UD) - 328 8755091

VISITA IL MIO SITO www.paologbianchi.com



lunedì 25 settembre 2023

LE VOSTRE DOMANDE: LA CRITICA E IL CRITICARE


 

 

Perchè la gente critica sempre? questa è la domanda di Gloria alla quale voglio provare a dare una risposta.

La critica è una parte naturale del comportamento umano, e ci sono diverse ragioni per cui le persone amano criticare. Alcuni dei motivi principali includono:

Le persone hanno opinioni diverse su vari argomenti, e la critica è un modo per esprimere le proprie opinioni e valutazioni sugli altri, sugli eventi o sulle cose.

Le persone hanno background, esperienze e valori diversi, il che può portare a divergenze di opinioni e quindi a critiche.

La critica costruttiva può essere un mezzo per aiutare gli altri a migliorare o per migliorare se stessi. Molte persone credono che attraverso la critica possiamo apprendere dai nostri errori e diventare persone migliori.

In alcune situazioni, le persone possono criticare per conformarsi alle aspettative sociali o per aderire a norme culturali o gruppi sociali specifici.

In ambienti altamente competitivi, le persone possono criticare gli altri per ottenere un vantaggio personale o per diminuire la reputazione degli avversari.

Alcune persone criticano per liberare il proprio stress o la propria frustrazione, anche se questa critica può non essere costruttiva o razionale.

La critica verso gli altri può servire a rafforzare l'autostima di alcune persone, facendo loro sentire di essere superiori o più competenti.

In alcune culture, la critica può essere vista come una forma accettata di comunicazione, e le persone possono essere abituate a darla e riceverla.

È importante notare che la critica non è sempre negativa. La critica costruttiva, quando fatta con rispetto e con l'intenzione di aiutare o migliorare, può essere estremamente utile per il progresso personale e sociale.

Tuttavia, la critica non costruttiva o maleducata può causare conflitti e problemi nelle relazioni interpersonali. Pertanto, è importante essere consapevoli delle proprie motivazioni quando si critica gli altri e cercare di farlo in modo costruttivo e rispettoso.

La critica non costruttiva, spesso definita come critica distruttiva o semplicemente critica negativa, può avere diverse cause. Ecco alcune delle principali ragioni per cui le persone tendono a esprimere critiche non costruttive:

Quando le persone si sentono frustrate, irritate o arrabbiate, possono reagire criticando gli altri come una forma di sfogo delle proprie emozioni. La critica diventa un modo per scaricare le proprie tensioni.

La gelosia e l'invidia possono portare le persone a criticare gli altri per ridurre la loro autostima o per farli apparire in negativo. Questo può essere un modo per cercare di mascherare o mitigare i propri sentimenti di inadeguatezza.

Alcune persone criticano gli altri per sentirsi superiori o per sottolineare le proprie capacità o successi. Questa critica spesso si basa su un desiderio di auto-elevazione a spese degli altri.

Le persone con scarsa gestione delle emozioni possono reagire impulsivamente attraverso la critica, senza prendere il tempo per riflettere sulle proprie parole o azioni.

L'incapacità di mettersi nei panni degli altri può portare alla critica insensibile o senza considerazione per i sentimenti altrui.

La critica non costruttiva può essere il risultato di pregiudizi, stereotipi o convinzioni profonde. Le persone possono criticare gli altri in base a caratteristiche personali, come la razza, il genere, la religione o l'orientamento sessuale.

Quando le persone si sentono minacciate o attaccate, possono rispondere criticando gli altri come meccanismo di difesa per proteggere la propria autostima o reputazione.

In alcuni casi, la critica non costruttiva può derivare dalla mancanza di conoscenza o comprensione dell'argomento o della situazione in discussione.

In alcune comunità o gruppi sociali, la critica non costruttiva può essere normalizzata e accettata come parte della cultura, portando le persone a criticare senza riflettere sulle conseguenze.

La critica non costruttiva può anche derivare da incomprensioni o errori di comunicazione, in cui le persone non riescono a esprimere chiaramente le proprie opinioni o preoccupazioni in modo costruttivo.

È importante notare che la critica non costruttiva può danneggiare le relazioni e creare conflitti, mentre la critica costruttiva è spesso più efficace per risolvere i problemi e favorire la crescita personale.

Cercare di essere consapevoli delle proprie motivazioni e cercare di comunicare in modo rispettoso e costruttivo può aiutare a migliorare le interazioni con gli altri.

BIBLIOGRAFIA

"Critica e Clinica" di Roland Barthes - Questo libro affronta il ruolo della critica nella cultura contemporanea.

"La critica del giudizio" di Immanuel Kant - Un testo filosofico classico che esplora la natura e i limiti della critica estetica e del giudizio.

"L'arte della critica letteraria" di Nicolas Tredell - Un testo che esamina come scrivere critiche letterarie efficaci e analizzare opere letterarie.

"Pensiero critico" di Richard Paul e Linda Elder - Un libro che esplora il concetto di pensiero critico e come sviluppare abilità critiche.

"Critica culturale" di Stuart Hall - Un testo che esamina la critica culturale e la sua relazione con la società e la politica.

"Critica della ragione dialettica" di Jean-Paul Sartre - Un'opera filosofica che esplora la dialettica come strumento di critica sociale.

"La critica sociale oggi" di Axel Honneth - Un libro che tratta delle diverse forme di critica sociale nella società contemporanea.

"La critica del capitalismo contemporaneo" di David Harvey - Un'analisi critica del capitalismo moderno e delle sue implicazioni.

"Critica dei media" di Douglas Kellner - Un libro che esamina la critica dei media e come i media influenzano la cultura e la società.

"La critica della ragione pura" di Immanuel Kant - Un testo fondamentale che tratta della natura della conoscenza e della ragione.

 

RELATIVA A SETTORI SPECIFICI

"L'arte della critica" di Giuseppe Antonelli, in questo libro, l'autore esplora il concetto di critica artistica, analizzando le diverse metodologie e approcci critici nel contesto dell'arte.

"La critica cinematografica" di Laura Delli Colli, questo testo offre una panoramica sulla critica cinematografica, spiegando come analizzare e valutare i film in modo critico.

"La critica letteraria" di Renato Barilli, Renato Barilli è un autore rinomato nel campo della critica letteraria e questo libro fornisce una visione approfondita della teoria e della pratica critica nel mondo della letteratura.

"Critica dell'arte contemporanea" di Alessandro Dal Lago, questo libro si concentra sulla critica dell'arte contemporanea, esplorando le sfide e le questioni legate alla valutazione dell'arte moderna.

"La critica musicale" di Ugo Ojetti, un classico sulla critica musicale, questo libro di Ugo Ojetti offre una prospettiva storica sulla critica musicale in Italia.

"La critica teatrale" di Massimo Marino, questo testo affronta la critica teatrale, spiegando come analizzare e valutare le produzioni teatrali in modo critico.

"La critica gastronomica" di Giuseppe Capano, se sei interessato alla critica culinaria, questo libro esplora l'arte della critica gastronomica e come valutare il cibo in modo critico.

"Critica e giornalismo culturale" di Lucia Corrain, questo libro analizza il ruolo della critica nel giornalismo culturale, fornendo una panoramica sulle pratiche critiche nei media.

"La critica d'arte oggi" di Achille Bonito Oliva, un altro libro che si concentra sulla critica d'arte contemporanea, esplorando le sfide e le tendenze attuali nel campo.

"Critica e critici cinematografici in Italia" di Vittorio Spinazzola, questo libro offre una panoramica storica sulla critica cinematografica in Italia, con un focus sui critici più influenti nel corso del tempo.


 

IPHM Paolo G. Bianchi
International Practitioner of Holistic Medicine - Terapie Olistiche e Bionaturali
Lomazzo (CO) - Buttrio (UD) - 328 8755091

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martedì 12 maggio 2020

ADESSO BASTA!!! SPACCO TUTTO



La rabbia sale e non la controlli più.

In questi giorni sento sempre più persone arrabbiate, deluse e stanche. Troppe tensioni, troppe indecisioni, troppe comunicazioni contradditorie e poco efficaci stanno alimentando il malcontento di molti trasformandosi in rabbia incontrollabile.

Perché?

Mi vengono in mente due film.

Nel primo “L’amore ai tempidel colera”, il protagonista Florentino Arisa riesce a celare la sua rabbia quando incontra il suo avversario in amore lasciando cadere dei documenti a terra così da nascondere il volto paonazzo dietro alla scrivania.


Nel secondo film “Zorro”, il vero e vecchio Zorro porge la sua maschera al giovane Zorro, giunto al termine del suo addestramento, dicendogli di nascondere con quella la sua rabbia.

Le maschere che indossiamo nella vita quotidiana sono oggi nascoste, per il nostro bene e quello degli altri, dalle maschere chirurgiche, ma riusciremo a controllare la nostra rabbia come i due protagonisti dei film?

Difficile fingere, soprattutto quando la misura della rabbia è colma: la disciplina a volte non basta.

Perché si cede al passo alla rabbia? Quando succede?

Quando ci si sente defraudati nel proprio io, nelle proprie aspettative, depredati nel proprio territorio o nelle proprie necessità.

La rabbia in Medicina Tradizionale Cinese è legata alla primavera: con il risveglio dei sensi tutto lotta alla conquista e riconquista.

In un articolo scritto per la rivista medica Olos e Logos ho avuto modo di parlare dell’emozione rabbia in medicina tradizionale cinese e su come gestirla. clicca qui per leggere l'articolo


Certo è che tra le emozioni, la rabbia è la più difficile da contenere e quando diventa generalizzata si può trasformare creando maggiori problemi.

Forse dovremmo imparare da Zorro: nasconderla dietro una maschera per utilizzarla al servizio del bene comune.

TI ASCOLTO, PARLAMI
servizio di counseling gratuito emergenza COVID19
Paolo G. Bianchi
cell. 328 8755091
skype: paolo giuseppe bianchi

Lomazzo (CO), via Unione 2,
Buttrio (UD), c/o Romina Tulissi, Via Divisione Julia 14/2 


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martedì 3 dicembre 2013

La formazione che non c'è


"Oggi ho fatto una cosa di cui mi vergogno profondamente. Ho dichiarato di aver tenuto un corso di formazione che non ho mai tenuto".  Non sono io, ma un collega che ha denunciato il fatto su Italians, il blog di Beppe Severgnini.
Parliamo ancora una volta di formazione finanziata e di come, spesso, viene utilizzata solo con lo scopo di incamerarne i fondi senza preoccuparsi dei risultati.

Non c'è molto da dire: questa esperienza apre nuovamente la dolorosa parentesi di come nel mondo manageriale e imprenditoriale la formazione, molto spesso, venga vista solo come un'opportunità di introiti e non come una possibilità di crescita e miglioramento.
L'autodenuncia del collega è un atto coraggioso che mette in luce la difficoltà a fare entrare nel mondo aziendale logiche di cambiamento efficaci e soprattutto  fare riconoscere la bontà degli strumenti formativi. 
Dall'altra parte è anche compito di noi formatori riconquistare la fiducia dei nostri interlocutori attraverso strumenti validi, professionalità di alto livello e formazioni veramente utili a chi le pratica e le deve mettere in atto.
È un lavoro lungo e complesso dove il fattore educativo deve coinvolgere tutti, noi formatori per primi smettendo di farci la guerra per diventare più reciprocamente collaborativi. Il risultato sarà una gara con qualche arrivista in meno e qualche risultato e cambiamento in più. Ne vale pena.

domenica 24 marzo 2013

La giusta attitudine




Sono convinto che chi ha un’attitudine positiva abbia maggiori possibilità, anche nei momenti bui, di trovare una via di uscita che lo aiuti a superare i suoi problemi ed è per questo che insisto molto nei miei interventi a ricercare positività ed energia. 
Sono anche convinto che questo aiuti, ma a volte non basti. 
Spesso Davide non vince Golia perché l’ingranaggio con cui si scontra è troppo grande e macchinoso e quel piccolo granellino che lo rappresenta viene spazzato via anche a causa di una visione erronea delle cose che contano per avere successo.
La tendenza a mostrarci status symbol ricchi e potenti che escono indenni da tutte le situazioni grazie alla loro arroganza e sfacciataggine è spesso confusa con l’attitudine per essere vincenti. Esserlo credo sia ben altro.
Quali sono allora le attitudini giuste per trionfare? Forse la prima è quella sulle cose, focalizzandoci sull’essenziale e diventando più saggi e non farcendoci abbindolare da falsi miti.  
Madre Teresa di Calcutta diceva che “la felicità è dentro di noi e siamo felici perché amiamo, non perché siamo amati”. 
Forse potremmo partire da qui chiedendoci: Cosa ci rende veramente felici? Di cosa abbiamo veramente bisogno? Come posso essere utile agli altri? Cosa faccio per migliorare me stesso? Quanto ho ancora da imparare?

martedì 24 gennaio 2012

Il sistema distorto


Non sono io a dirlo ma il sociologo Luciano Gallino, e non posso che trovarmi perfettamente d’accordo. Vedo troppe persone che smettono di credere nel lavoro che hanno amato fino a ieri solo perché sono i loro “capi” i primi a non dimostrarlo; mentre altre persone che vorrebbero avere un lavoro fatto anche di valori, condivisione etica e solidarietà, spesso non trovano spazi di fronte all’arrivismo e alle dure leggi dell’economia.
La formazione e il counseling in azienda possono ridurre questa forbice che allontana l’uomo dal lavoro: fare incontrare le aspettative personali con quelle aziendali. Mi accorgo sempre più che le aziende che investono sulla crescita delle persone sono quelle che ottengono di più dai loro dipendenti. Ciò che facciamo lo facciamo per noi stessi, per le nostre famiglie per la nostra soddisfazione: il lavoro è solo il mezzo per raggiungere questo e tale deve rimanere, il mezzo più sublime per dare dignità autentica.

ringrazio l'amico e collega Massimo per la segnalazione del pensiero di Gallino

domenica 18 dicembre 2011

Credere nell’uomo

“Il rivoluzionario crede nell'uomo, negli esseri umani. Chi non crede nell'essere umano, non è rivoluzionario” (Fidel Castro). 

La rivoluzione più grande è proprio questa, credere nelle persone e nelle loro potenzialità, nella loro capacità di rendere diverse le cose, di cambiarle, sostituirle, farle crescere. 
L’immobilismo rende tutto apatico e privo di senso e considerazione perché si smette di credere nelle persone e in quello che sanno e vogliono fare. 

A volte incontro persone che si rifiutano di ammettere le capacità di altri: chiuse nel loro egoismo e nella loro mancanza di umiltà pensano che nessuno possa insegnare loro qualcosa. Sentirsi arrivati è triste perché rende tutte le relazioni assolutamente vuote del loro significato più profondo: poter dare e ricevere qualcosa. 

In realtà chi si sente capace solo di commisurarsi con se stesso è spesso privo di iniziativa e vede il mediocre negli altri per non vederlo in sé. Non ci si può chiudere in se stessi basandoci solo sul semplice fatto di pensarsi unici. La grandezza delle relazioni consiste proprio nell’unicità e nell’irripetibilità di ognuno di noi perché proprio per questo diventiamo una miniera inesplorata di insegnamenti. Questo vale in famiglia, tra gli amici come in azienda: imparare a guardare che esiste qualcosa al di fuori di noi è fondamentale a meno che non ci sentiamo così ricchi da voler escludere il mondo intero, ma vi assicuro da quello che vedo e sento porta solo tanta tristezza e solitudine e non ne vale proprio la pena. 

Credere nell’altro è il principio per credere in se stessi e anche se costa una buona dose di umiltà. Ne vale proprio la pena.

domenica 19 giugno 2011

Formatori & falsi profeti

Quella del formatore è una professione strana: apparentemente inutile per molti diventa indispensabile quando emergono problematiche e situazioni che possono essere risolte solo da esperti. 

È un mondo variegato, quello dei formatori: a professionisti con solide esperienze e saperi si affiancano persone improvvisate in cerca di un’identità lavorativa, con una la voglia di imparare a fare questo mestiere o altri con l’intento di fare solo business. 

Insegnare agli altri è un arte antica che richiede esperienza, conoscenze, ma soprattutto capacità di capirsi e di capire: in un mondo in continua evoluzione il trainer e colui che per primo si adatta e poi aiuta gli altri a farlo. 

Spesso chi fa formazione dimentica lo scopo per cui è chiamato o rimane vittima della sua stessa immagine (a volte mi ritrovo a non esserne immune nemmeno io). Nascono allora i protagonismi fatti di presunzione il cui il metro di misura diventa “chi parla” e non “chi ascolta”. 

San Benedetto, nella sua Regola diceva di insegnare sempre con l’esempio e la coerenza, ma rivolgendosi a tutti con umiltà e semplicità. A volte noi formatori dimentichiamo principi ispiratori basilari come questo. 

Quando ciò avviene diventiamo falsi profeti: il mondo che presentiamo e costruiamo è la nostra sola visione e la scientificità degli argomenti che trattiamo si perde nel nostro orgoglio. 

E’ allora che, secondo me, non abbiamo più niente da dire e da dare e dovremmo fare un po’ di sana e doverosa autocritica.

martedì 19 gennaio 2010

Le parole che ti ho detto: lezione


Oggi voglio riflettere con voi sulla parola “lezione” prendendo spunto dal cinese dove questo termine si traduce con l'ideogramma "KE", che ne ne racchiude, a sua volta, due: “parola” e “frutto”.
In un momento in cui noi formatori ci dibattiamo tra lezioni frontali e trasversali, esperienziali o outdoor l’insegnamento è cinese è diretto: le parole danno frutti.
Quindi dietro ogni parola ci deve sempre essere una grande riflessione e visto che le parole nelle lezioni diventano frutti ci può aiutare l’antico detto benedettino: “Parla solo se hai qualcosa di più prezioso del silenzio da dire”.

domenica 9 novembre 2008

Obama e la Xerox

Quelle che vi voglio raccontare oggi sono due storie tutte americane.

Un uomo con la pelle scura, figlio di un’americana e di un Keniota, punta alla Casa Bianca e, non senza fatica, vince: Barack Obama è il nuovo presidente degli USA.
Una donna di colore, Ursula M. Burns, dopo una laurea in Ingegneria meccanica alla Columbia University, entra come semplice stagista in Xerox. Passo dopo passo, scala le vette dell’azienda e ne diventa presidente nell’aprile 2007.
L’America sognata dai nostri nonni come paese delle opportunità, tra pregi e difetti, ha ancora da insegnarci.

Da anni faccio formazione, conferenze, lezioni universitarie. Incontro manager e studenti, direttori risorse umane e operai. Parlo di cambiamento, preparo piani e strategie, cerco con la formazione “esperienziale” di realizzarlo o almeno di crearne i presupposti. Poi, ad un certo punto, improvvisamente, il cambiamento si ferma: perché?
Perché, ad esempio, un alto dirigente è più impegnato a pensare alla sua auto aziendale che al bene dell’azienda oppure perché il responsabile delle risorse umane licenzia una stagista solo perché “non ha Santi protettori”.

Capacità e meriti non sono più considerati e tanto meno le competenze che, per quanto acquisite, non saranno mai quelle richieste. Figli di un medioevo ancora vivo, per risalire la scala gerarchica dobbiamo fare una sola cosa: servire bene il capo.

Grazie a Dio, non sempre è così: ogni tanto qualche dirigente e imprenditore che lotta contro i Titani esiste; non farà molto, ma almeno ci testimonia che si può essere diversi e credere nel cambiamento.
E se comunque l’America è sempre l’America, voglio continuare a credere in queste persone perché il vero cambiamento in un mondo di Baroni sono proprio loro.

martedì 7 ottobre 2008

Crisi mutui: colpa del testosterone

Il 30 settembre scorso l’Ansa ha battuto questa notizia – “Per una psicologa inglese, Julia Noakes, che ha molti clienti della City, il problema della finanza mondiale e' il testosterone dei maschi. Julia sostiene che c'e' troppo individualismo aggressivo e troppa poca femminilita' nella gestione delle banche. Anche Heather McGregor, cacciatrice di teste alla City, e' d'accordo e sottolinea che in Inghilterra le banche meno toccate dalla crisi sono quelle dove le donne sono state promosse ai vertici”.

Pensavo che il mondo anglosassone avesse superato le barriere del maschilismo tipico dei paesi latini, evidentemente sbagliavo.
Questo mi fa riflettere ulteriormente su come la formazione debba portare ad un profondo cambiamento di tendenza non solo nel campo delle pari opportunità, ma soprattutto in quello della leadership.

Noi uomini, abituati a vederci manager e capi sin da bambini dobbiamo imparare a ad avere in cordata anche delle valide compagne o a mettere in conto di avere un capo donna. Del resto sono i fatti a parlare chiaro anche in Italia e le aziende governate da donne sopravvivono più a lungo.

mercoledì 10 settembre 2008

Il valore delle persone

Michael Phelps a Pechino ha battuto sette record del mondo.
Mi è piaciuta una sua dedica, con l'ottava medaglia d'oro al collo: «Al professore d'inglese delle medie secondo cui non avrei mai avuto successo».

Quante volte incontro persone sulle quali non si sarebbe investito un centesimo, ma che, nelle giuste condizioni, sfruttando al meglio le loro inclinazioni riescono prepotentemente ad emergere. Il loro cammino è disseminato da dubbi, magari da tante incertezze e a volte anche dal peso di un giudizio stroncante inappellabile di chi non ha saputo capire e vedere.

Chi ha fatto fatica ad affermarsi, ad “arrivare” nel proprio settore, di solito si distingue per la sua umanità e disponibilità forse perché nessuno li ha aiutati nella loro scalata o forse perché vogliono dimostrare che si può essere diversi. La loro vita non è stata facile e quindi cercano, per quello che possono, di non fare agli altri quello che hanno ricevuto.

La nostra capacità di esprimere giudizi è infinita, ma spesso si basa più sui pregiudizi che sull’obiettività. Anche in aula è forte la tentazione di dedicare più tempo con chi è apparentemente brillante anziché soffermarsi con chi fa più fatica ad emergere.
Sono convinto che sia più utile offrire una chance in più che “tagliare le gambe” a chi vorrebbe provare a correre: nella gara della vita l’importante è provarci.

martedì 5 agosto 2008

Imparare insegnando

“Descrivi qualcosa e un quarto della gente comprenderà.
Descrivi qualcosa mentre la mostri e i tre quarti della gente comprenderà.
Descrivi qualcosa, mostrala e poi incoraggia la gente a fare un uso immediato della propria conoscenza e nove persone su dieci comprenderanno”.

Ho letto ultimamente questa massima giapponese e mi ha riconfermato di come nella formazione come nella vita siano importanti alcuni passaggi per ottenere dei buoni risultati.
Il primo è saper dire cosa fare: non basta avere l’idea bisogna saperla comunicare bene a tutti.
Il secondo è saperla mostrare con entusiasmo: spesso le persone hanno bisogno di “toccare con mano”.
Il terzo è saper coinvolgere gli altri con l’esempio: posso applicare solo ciò che vedo già applicato con successo.

Aggiungerei a tutto questo solo due requisiti fondamentali oggi molto difficili da reperire.
Il primo, avere qualcosa di veramente valido da insegnare.
Il secondo, avere un buon maestro che ti insegni ad imparare sempre soprattutto quando insegni agli altri.

domenica 6 aprile 2008

Il formatore e la semina

Quali caratteristiche deve avere il formatore più adatto? Me lo chiedo da anni e, pur avendo pensato di trovare varie risposte, ogni volta che vedo o sento la performance di un collega, le domande rimangono aperte. Ho anche navigato tra siti e blog e, chiaramente, ognuno sostiene di essere il migliore o di avere la tecnica più efficace.

La tentazione più grande di noi formatori è la facilità di dipingerci sempre come dei guru. Chi fa formazione tradizionale, di solito snobba il mondo dell’outdoor e della formazione esperienziale e viceversa; io invece penso che ci possano essere delle continuità interessanti. E’ un discorso che ho già affrontato in un mio precedente post; qui aggiungo che, secondo me, il bravo formatore deve insegnare a pensare prima che ad agire, deve aiutare le persone a conoscersi dentro. Per questo sono sempre perplesso di fronte ai guru che urlano slogan e utilizzano tecniche da psicoterapia di gruppo per motivare la gente… quanto dura la motivazione? Fino al prossimo corso se va bene.

Ultimamente mi hanno chiamato per tenere dei “seminari”. Mi piace questo termine perché racchiude in se “seminare”, condividere pensieri e azioni con le persone, per aspettare poi il raccolto.

Sto imparando che il seme deve essere buono, la terra va preparata con attenzione e pazienza e le piante vanno lasciate crescere, ognuna col suo tempo, e curate costantemente. E quando si raccoglie ce n’è veramente per tutti. Io credo che il bravo formatore semini sempre parlando con il cuore. E se qualche volta si perde il cliente, dispiace, ma i terreni incolti sono infiniti e il viaggio continua.

mercoledì 27 febbraio 2008

Sulle spalle dei giganti

Bernardo di Chartres dice “Siamo nani sulle spalle dei giganti: la nostra ragione potrà essere tanto più potente e lungimirante quanto più ci saremo impadroniti del pensiero dei “giganti”: solo a partire dalle loro altezze, da quanto essi hanno conquistato con il loro ingegno, potremo lanciare uno sguardo su orizzonti più lontani”.

Queste parole ci insegnano a riflettere e a ricordare il grande patrimonio culturale che ereditiamo quando veniamo al mondo. Personalmente queste parole mi spingono a dare un significato al tempo della mia vita cercando, nel nostro piccolo, di diventare parte della storia. Come? Attraverso le nostre storie da “nani” in un mondo in cui sono vissuti “giganti”. Se trasferiamo ogni gesto e ogni parola con passione, dimostrando con coerenza quello che stiamo dicendo o facendo, staremo costruendo una piccola parte di storia. Se, attraverso il nostro lavoro, sapremo sentirne la responsabilità potremo dare dignità ad ogni nostro gesto e salveremo il breve tempo passato su questa terra lasciando qualcosa ai nostri posteri.

Noi formatori spesso abbiamo il compito di dare delle nozioni che le persone possano poi applicare per migliorare il loro lavoro. Solo con l’esempio potremo cambiare quelle piccole cose che permetteranno a chi partecipa ai nostri corsi di diventare dei giganti nella loro vita.

I samurai ricordano sempre gli insegnamenti dei maestri e li mettono in pratica, i monaci benedettini tramandano una cultura che, pur adeguandosi ai tempi rimane immutata da 1500 anni. Nel nostro piccolo possiamo dare un aiuto al cambiamento e guardando ai giganti impariamo da loro: anche noi diventeremo come loro attraverso le nostre azioni.

martedì 12 febbraio 2008

Vision personale

È un termine in cui mi imbatto spesso in azienda. Nei corsi si deve avere sempre una vision che affianca la mission.
Ma cos’ è la vision, la vision personale?

Nella vita non si può raggiungere nulla senza avere la cognizione del perché lo si fa. Per i buddisti, attraverso la pratica, si acquisisce la chiarezza del percorso da seguire. Per gli occidentali è più complesso affrontare un cammino di disciplina e costanza; quindi diventa più laborioso sapere perché stiamo facendo qualcosa.
Allora chiamiamo “vision” l’idea che ci stiamo facendo della nostra vita personale o professionale in quel preciso momento. È come se proiettassimo uno spezzone di un film di cui siamo spettatori e protagonisti, per poterlo poi realizzare nella vita quotidiana. Per questo abbiamo bisogno di un modello da seguire: se non abbiamo in mente la serie delle sequenze non potremo raggiungere i nostri obiettivi.

La formazione serve per aiutarci a creare queste sequenze di film e a farci capire quando siamo protagonisti e quando siamo solo comparse. Il ruolo del formatore deve essere quello di aiutare e guidare il nostro essere spettatori; saper guardare le cose dall’esterno aiuta infatti a valutarci meglio e a capire con maggiore apertura mentale le scelte da fare. Purtroppo i formatori tendono spesso ad assumere il ruolo di regista dirigendo la vita degli altri e i loro sogni.
Invece i formatori dovrebbero essere solo gli sceneggiatori a cui spetta il compito di descrivere minuziosamente le possibili scene di quello spezzone di film che si vorrebbe interpretare.

Nei corsi esperienziali, il formatore facilita il passaggio di nuovi concetti e idee che nascono da momenti, luoghi e situazioni diverse e che, se ben interiorizzati, permettono un cambiamento costante e duraturo.
Per questo sostengo che è necessario provare differenti situazioni perchè permettono di calibrare i nostri sogni e ci fanno capire cosa vogliamo da noi stessi in quel preciso momento. Fatto ciò possiamo cominciare a costruire la mission, ma questo e l’argomento di un prossimo post.

martedì 30 ottobre 2007

Qual è la società di formazione più adatta?

Oggi voglio riprendere il discorso iniziato un po' di tempo fa sulla formazione e, in particolare, fare qualche riflessione sulle motivazioni o le strategie che portano un direttore del personale a scegliere una società di formazione rispetto ad un’altra.

La logica ci direbbe semplicemente sulla base dei risultati ottenuti in aziende dello stesso settore. Ma non sempre è così.

Il panorama delle società di formazione è veramente ampio e l’offerta supera di gran lunga la domanda. A questo proposito mi fa molto riflettere il fatto che molte società "di formazione" abbiano iniziato ad offrire corsi per chi vuole diventare "formatore"; è un mercato che crea nel suo interno un'altro micro-mercato, è una sorta di involuzione che, secondo me, maschera una scarsa capacità innovativa.

Tutti noi formatori proponiamo il modello ideale per la risoluzione dei problemi e sono sicuro che ognuno è assolutamente convinto di poterci riuscire. Mi accorgo però che la differenza, "il valore aggiunto" è dato dalla voglia di conoscere l’azienda e di viverla a stretto contatto con chi ci lavora. Non bastano i modelli fatti calare dall'alto rigidamente, bisogna mettesi in gioco, da una parte (l'azienda) e dall'altra (il formatore).

Purtroppo mi sono anche reso conto che, di solito, è molto facile che la
scelta cada sui grandi nomi.
Proprio tempo fa parlavo con un direttore del personale che avrebbe volentieri scelto una piccola società di formazione con una “proposta di nicchia” come la mia, ma era costretto a cedere sul nome illustre già noto sul mercato per non essere costretto a dare troppe spiegazioni. Della serie "andiamo sul sicuro e basta, le cose strane lasciamole agli altri", con buona pace di tutti i propositi di rinnovamento e innovazione.

Esistono, grazie a Dio, anche imprenditori e direttori del personale illuminati che sanno scegliere sulla base di contenuti e della passione che il formatore sa trasmettere.
Quando dopo anni vengo richiamato a svolgere della formazione in un’azienda che non sentivo da tempo significa che c’è qualcosa in più: credo sia la fiducia, ma soprattutto l’aver dimostrato che non serve essere grandi per poter fare bene le cose.

Spesso è un piccolo passo che fa compiere alle persone grandi viaggi. Scegliere una società poco conosciuta è difficile, rischioso, ma molto più gratificante.

“Se vuoi conoscere una persona” dice un proverbio zen “cammina per un po’ con le sue scarpe”: Se un consulente è disposto a far questo per un proprio cliente credo la sua sia la società giusta da scegliere e il resto è solo teoria.


martedì 16 ottobre 2007

La parola “grazie”

Dire “grazie” sembra sempre molto difficile anche per noi formatori. Ci sentiamo depositari di conoscenze superiori che impartiamo alle persone e amiano molto parlare più di noi stessi che dei problemi da risolvere.
La parola “grazie” è molto bella perché dà il senso del fermarsi e ammirare qualcosa che è stato fatto per noi: sia solo la cena, il più grande favore del mondo o una considerazione utile all’interno di un corso.

Nei monasteri la si dice spesso, con la logica della disponibilità e dell’attenzione comune. Nelle palestre di arti marziali la si dice al maestro all’inizio e al termine della lezione perché gli insegnamenti si trasmettano in continuo.

Ricordo un presidente della Repubblica che nel discorso di inizio anno ringraziava la gente che gli dava forza e speranza.
La forza che riceviamo, infatti, ci viene sempre da coloro a cui la trasmettiamo.

Ogni leader è tale perché sa infondere coraggio nelle sue persone e riceve da loro stima e consenso: è per questo che ogni vero leader non misura mai quanto dà al suo gruppo. Esprimere gratitudine è il primo dovere di un capo: io non lo sono, comunque…grazie a tutti voi.